Haiti: un Paese nel caos e isolato dal resto del mondo

Flavia Maurello di Avsi racconta ad Interris.it la situazione di emergenza che sta vivendo la popolazione dell'isola caraibica

A sinistra Flavia Maurello. Foto: Avsi

Haiti è in preda al terrore. Dalla fine di febbraio infatti, ci sono violenti scontri tra polizia e bande criminali che vogliono rovesciare il governo, che hanno liberato migliaia di prigionieri e che hanno ormai preso il controllo di quasi tutta Port-au-Prince. L’Unicef denuncia una situazione insostenibile, un numero elevato di donne e bambini sfollati, condizioni igieniche precarie e la mancanza dei beni di prima necessità.

Avsi

Organizzazione nata nel 1972, realizza progetti di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario in 40 Paesi del mondo. Ad Haiti ha accesso ad alcune delle zone più vulnerabili e conflittuali e qui si dedica soprattutto alla protezione dei bambini e delle donne, che sono particolarmente esposti alla violenza esplosa nel Paese.

L’intervista

Interris.it ha raggiunto telefonicamente ad Haiti Flavia Maurello, responsabile di Avsi nel Paese caraibico, che ha spiegato il momento drammatico che sta investendo l’isola caraibica e come Avsi sta sostenendo la popolazione.

Flavia, come è la situazione attuale?

“Haiti sta vivendo un’emergenza umanitaria senza precedenti. L’80% del Paese è in mano a bande di criminali che, dal 29 febbraio scorso, si sono impossessati dell’isola infondendo terrore. Questa situazione di instabilità è dovuta anche al fatto che molti ospedali sono stati distrutti o chiusi per assenza di personale. Stessa cosa vale per le  scuole, che già erano in sofferenza, e che hanno posticipato la loro attività a data da destinarsi. Haiti è isolata, l’aeroporto internazionale è chiuso da più di un mese, mentre il porto principale è stato totalmente depredato, condannando l’intera isola a una situazione di abbandono dove mancano i beni di prima necessità, in primis cibo e medicinali”.

Haiti è un Paese che vive sopratutto di importazioni di prodotti alimentari. Come fa la gente a sopravvivere?

“Man mano che trascorrono i giorni, la situazione diventa sempre più emergenziale. L’isola infatti ha delle coltivazioni e degli allevamenti, ma si tratta di produzioni che coprono solo il 40% del cibo che viene poi consumato e che dunque non riescono a sfamare un’intera popolazione. Un altro problema riguarda poi la mancanza di medicinali e di acqua potabile, bene questi’ultimo fondamentale per l’idratazione e l’igiene personale, peggiorata anche a causa dei tanti cadaveri che ogni giorno vengono abbandonati lungo le strade”.

Il 100% del carburante usato nell’isola arriva dall’estero. Questo fattore cosa provoca?

“Si tratta di un problema di vasta portata in quanto è l’unica fonte di energia esistente nel Paese. Se pensiamo che il carburante fa lavorare anche gli stessi segnali telefonici possiamo allora comprendere la portata di questa mancanza. Le stesse telecomunicazioni sono a rischio di black out e se questo avverrà vorrebbe dire isolare totalmente Haiti e la sua popolazione dal resto del mondo”.

Che cosa fate voi di Avsi?

“Il nostro programma prevede una protezione umanitaria che sviluppiamo sia nelle bidonville della capitale, sia nelle zone più rurali dell’isola. Cerchiamo di rispondere ai bisogni primari della popolazione, in balia dei movimenti migratori prodotti dalla violenza. Ci occupiamo principalmente della popolazione più fragile e vulnerabile, ovvero le donne e i bambini a cui proponiamo, soprattutto ora che le scuole sono chiuse, delle attività parascolastiche”.

Dal punto di vista psicologico, quanto sono provati i minori?

“Si tratta di bambini e di ragazzi che sono nati in questo contesto, ma l’acuirsi della violenza di questi mesi si sta manifestando in una serie di segnali importanti come frequenti stati d’ansia che li rende ancora più vulnerabili ed insicuri nei confronti del loro stesso presente. I bambini di oggi sono gli adulti del futuro e per questo noi cerchiamo di supportarli anche psicologicamente perché possano comprende che la violenza non è l’unica alternativa, ma che possono puntare su una prospettiva di vita molto diversa”.