“Cosa manca alla ricerca medica in Italia”

Mai perdersi d’animo. Mai scoraggiarsi. Seguire il proprio sogno con tenacia e lottare affinché si possano migliorare le condizioni di ricerca e d’impiego per i giovani nel nostro Paese”. Parola del prof. Alberto Signore, medico e ricercatore, direttore Uoc Medicina Nucleare alla Sapienza di Roma e docente onorario a Groningen (Paesi Bassi). Una vita passata tra ambulatori e laboratori, senza mai stancarsi, nella speranza fiduciosa che il settore della ricerca, spesso dimenticato e bistrattato, diventi bacino di grandi talenti. E' questa, infatti, la fonte prima del progresso umano, specie nel campo della tutela della salute. In Italia si parla spesso di fuga di cervelli. Eppure non manca chi decide di restare, facendo sacrifici, di cui non si sa nulla. Studiosi che lavorano in silenzio, a volte a piccoli passi. Solo quando assurgono agli onori della cronaca scopriamo quanto sia importante il lavoro che svolgono.  

Professore, ha senso la Giornata della Ricerca Italiana nel Mondo, che si celebra ogni anno il 15 aprile, quando la maggior parte dei ricercatori italiani sono all’estero?
“Certamente si! Chiarirei innanzi tutto che solo una piccola parte di ricercatori italiani, sebbene molto qualificati, si trovano a lavorare temporaneamente o permanentemente all’estero. Difficile quantificare in modo esatto ma di sicuro, la mole di pubblicazioni provenienti dai ricercatori italiani in Italia è di gran lunga superiore alla mole di lavori pubblicati dagli italiani all’estero. Quindi festeggiare sì e festeggiare molto. Perché la ricerca italiana con i pochi mezzi a disposizione riesce a produrre risultati di eccellenza in moltissimi settori scientifici e medici in modo particolare”.

Lei ricopre un ruolo di medico, docente e scienziato nell’Università italiana, qual è oggi la situazione delle nostre Università nel campo della ricerca?
“Le Università Italiane hanno messo in pratica nuove norme per facilitare la partenza di piccole imprese e per aiutare i ricercatori nel depositare e mantenere brevetti internazionali. Ma ancora assai poco si è fatto per implementare gli spazi per i laboratori di ricerca, le attrezzature, i finanziamenti e le possibilità di assumere giovani. All’estero questi aspetti sono molto più curati e finanziati, sebbene vi siano paesi anche meno fortunati del nostro. Tuttavia tra i Paesi della Comunità Europea siamo un po’ il fanalino di coda. C’è però da considerare che in Italia i dottorandi di ricerca sono pagati dalle università con fondi statali mentre all’estero i dottorandi sono prevalentemente pagati da fondi di ricerca del ricercatore. Quindi, a titolo d’esempio, quello che si può fare in Olanda con 200.000€ è assai meno di ciò che si può fare in Italia con 60mila euro se si pensa che un dottorando in Olanda costa circa 150/200mila euro solo di stipendio e tasse”.

In campo medico il progresso è un bene per tutti e di tutti, eppure i fondi stanziati sono scesi, si stima che i Paesi del Nord Europa accoglieranno circa 30mila studiosi che l’Italia ha perso e continuerà a perdere in questo ultimo decennio fino al 2020…
“Questa fuga di giovani dall’Italia, e non solo di medici, ricercatori e scienziati ma un po’ di tutte le categorie inclusi giovani non laureati, è, purtroppo, un’emorragia inarrestabile per il nostro Paese. E credo che anche le misure promesse da questo governo non siano sufficienti ad arginare la fuga dei nostri giovano all’estero. Cosa manca per farli restare? Cosa offrono all’estero per attirarli? Non è semplicissimo dare una risposta poiché le motivazioni possono essere molteplici. Dal cercare semplicemente un’esperienza lavorativa temporanea che permetta di imparare un’altra lingua, al trovare un’opportunità seria di lavoro a tempo indeterminato nel settore di scelta del giovane. Analogamente, in Italia dovremmo implementare i corsi di formazione professionalizzanti al posto delle lauree brevi o magistrali, e dovremmo incrementare la formazione post-laurea con sovvenzioni statali per i ragazzi più meritevoli in modo che possano gratuitamente incrementare il loro “know-how” ed eventualmente apportare innovazione al paese. Inoltre bisognerebbe  creare nuovi ruoli a tempi indeterminato nel mondo della ricerca e dell’università, come ad esempio la figura del “young scientist” o del “young lecturer” che affiancherebbe la carriera del “ricercatore/professore associato/professore ordinario” con una carriera parallela tipo “young-scientist/scientist/senior scientist” o “young lecturer/lecturer/senior lecturer” che dir si voglia. Quindi creare nuovi ruoli con nuove mansioni e diverse fasce stipendiali per evitare che i  giovani accedano ad assegni di ricerca o borse di studio sino a 36 anni per poi trovarsi senza alternative e costretti ad emigrare. Infatti, se in Italia non è possibile erogare borse di studio oltre i 36 anni e non è possibile erogare più di 6 assegni  di ricerca annuali, ne consegue che bisogna trovare degli sbocchi professionali a tempo indeterminato per tutti questi giovani che all’età di 36 anni si ritrovano, non tanto più giovani, senza possibilità di lavoro”.

La solidarietà nazionale viene mobilitata principalmente durante le raccolte fondi di Telethon e Airc…
“Mobilitare la solidarietà nazionale in grande stile, con programmi televisivi, radiofonici, e su altri media, ha dei costi elevati e non tutte le associazioni no-profit possono permetterselo. Bisognerebbe anche dare ai piccoli, ma non meno meritevoli, la possibilità di accedere a fondi di solidarietà. Non è nemmeno facile accedere ai fondi del 5×1000, e tantomeno organizzare manifestazioni di piazza. Ci sono piccole associazioni che re-investono fino al 98% del ricavato in ricerca pura e borse di studio o borse viaggio per i giovani portando contributi notevolissimi alla ricerca scientifica, che, se paragonati ai grandi Airc, Telethon, Ail, Aism, etc. probabilmente hanno un rapporto investimenti/rendimenti notevolmente superiore. Mi permetto solo di citarne un paio che ho avuto modo di conoscere ed apprezzare personalmente per il loro lavoro in campo nazionale ed internazionale: la Nuclear Medicine Discovery che accetta donazioni su www.nuclearmedicinediscovery.org e la International Research Group for Immunoscintigraphy and Therapy che accetta donazioni su www.IRIST.org

Lei è professore all’Università “Sapienza” di Roma e anche presso l’Università di Groningen in Olanda, tra le più prestigiose nel campo della ricerca medica. Cosa si potrebbe imparare ed importare dall’Olanda?
“Si, sono Professore Onorario dell’University Medical Center di Groningen dal 2004 dove mi reco con frequenza quasi mensile per seguire un team di ricercatori e studenti. Una cosa che ho imparato presto, a mie spese, ed apprezzato molto dell’università olandese è il loro sistema di valutazione triennale del corpo docente e del personale. Vi sono criteri rigidi e molto competitivi cui corrispondono importanti benefici, economici e non e, molto importante, altrettante sanzioni, economiche e non, per il mancato raggiungimento dei traguardi dovuti. In Italia si sta cercando di farlo con l’Anvur di cui ho anche fatto parte, ma i traguardi sono modesti e le sanzioni assenti come pure scarsi i benefici per coloro che raggiungono i traguardi d’efficienza triennali. Bisogna fare regole serie con premi e sanzioni e poi far rispettare le regole. Già questo aiuterebbe molto. Poi sono rimasto colpito da come le università olandesi sponsorizzano nel mondo del lavoro i loro neo-dottorati. Vengono pubblicate le tesi in lingua inglese con numero Isbn, vengono raccolte tutte le tesi e rese pubbliche su piattaforma informatica, vengono trasmesse alle agenzie di stampa dei brevi resoconti delle attività dei dottorandi e ricercatori e trasmessi a tutte le ditte farmaceutiche con rappresentanza in Olanda per promuovere e pubblicizzare la ricerca svolta e le capacità del ricercatore. Nella stragrande maggioranza di casi, entro 12 mesi dalla pubblicazione della tesi di dottorato, il giovane viene assunto da una casa farmaceutica o da un istituto di ricerca olandese o estero. In ultimo, una cosa molto semplice: la lingua inglese va insegnata dalle scuole primarie con grande impegno e serietà. Dobbiamo dedicare molto più tempo nelle scuole alla lingua inglese. La televisione dovrebbe trasmettere i film o serial per ragazzi e i cartoni animati solo in lingua inglese nella fascia oraria tra le 16 e le 20, ovvero quando i bambini rientrando da scuola si mettono a vedere la televisione. In italiano, le trasmissioni per adulti ed i talk show. Ciò accade in Olanda ormai da molti anni e i bambini di 10 anni parlano un inglese fluido e corretto”.

Parliamo della laurea in Biotecnologie mediche che è assolutamente innovativa. Che sbocco hanno i giovani laureati?
“Non è solo una laurea breve dal momento che dopo i primi 3 anni quasi tutti gli studenti completano il percorso con una laurea magistrale in altri 2 anni. Questa laurea prepara i giovani ad entrare nel settore della ricerca scientifica medico  e biomedica, con grande competenza, colmando un vuoto lasciato dai giovano medici che dopo 6 anni di laurea e 4 di specializzazione, all’età media di 30 anni, non si mettono certo in un laboratorio ad imparare a fare i ricercatori biomedici. Sono dunque questi i giovani cui dobbiamo dare uno sbocco professionale nel mondo della ricerca e per i quali, come dicevo prima, dobbiamo creare delle nuove carriere e nuove opportunità per portare innovazione tecnologica al paese. Investire su loro non è una spesa ma un business che può portare ad enormi svolte sociali, economiche e culturali se ben organizzato e gestito”.

Un consiglio rivolto ai giovani ricercatori?
“Mai perdersi d’animo! Mai scoraggiarsi. Seguire il proprio sogno con tenacia e lottare affinchè si possano migliorare le condizioni di ricerca e d’impiego per i giovani nel nostro Paese”.

Diventare ricercatori. Davvero il mestiere più bello del mondo?
“Questa frase è stata pronunciata da una giovane ricercatrice di Pisa in occasione dell’incontro dei ricercatori Airc con il Presidente della Repubblica al Quirinale. Io ero presente e mi sono emozionato molto al sentirla pronunciata da un altro collega poiché condivido pienamente, come moltissimi altri, un grande amore ed entusiasmo per la ricerca, tanto da poterlo definire senza ombra di dubbio il mestiere più bello del mondo. Ogni giorno una nuova scoperta, un nuovo stimolo, un nuovo approccio, una cosa nuova da approfondire e studiare. E poi la possibilità di scambiare informazioni e confrontarsi con colleghi di tutto il mondo. Avere come obbiettivo il migliorare la nostra vita è un bellissimo sogno da realizzare che ogni mattina ci fa andare a lavorare carichi di stimoli, passione, ambizione ed entusiasmo. Naturalmente, affinché questi piccoli innumerevoli sogni si possano realizzare ci occorre l’aiuto di tutti, dal singolo cittadino di strada al politico, dal lavoratore che ci affianca nelle strutture al burocrate e legislatore, dallo studente allo scienziato affermato, dall’insegnante di scuola elementare al Rettore universitario. Ciascuno può e dovrebbe fare un poco di più”.