Universalismo, condivisione e solidarietà: le fondamenta del multilateralismo

In occasione della Giornata mondiale del multilateralismo e diplomazia per la pace, Interris.it ha intervistato Anna Caffarena, professore ordinario di relazioni internazionali dell’Università di Torino

Nell'immagine: a sinistra foto di Mathias Reding: https://www.pexels.com/it-it/foto/citta-punto-di-riferimento-edificio-costruzione-4468974/, a destra la professoressa Anna Caffarena (per gentile concessione)

Un’ideale che immagina di far coniugare ormai solo al passato i verbi della potenza e della supremazia, per parlare con le parole dell’unità, della condivisione, della cooperazione. E’ il multilateralismo, affermatosi dopo due guerre mondiali per radunare la comunità internazionale a un “tavolo” dove riconoscersi e collaborare a fini collettivi, la pace, il progresso, lo sviluppo, i diritti fondamentali. Decenni dopo, l’ordine globale che si era stabilito ha preso a mutare più rapidamente, e il multilateralismo deve fare i conti con la sua evoluzione. In occasione della Giornata mondiale del multilateralismo e diplomazia per la pace, Interris.it ha intervistato Anna Caffarena, professore ordinario di relazioni internazionali dell’Università di Torino.

Come nasce l’idea del multilateralismo?

“Il multilateralismo comincia ad affermarsi a partire da metà Ottocento quando Paesi che si riconoscono interdipendenti decidono di affrontare insieme i problemi comuni. Inoltre, alla luce dei processi di democratizzazione, intendono costruire un modello di politica internazionale che superi la politica di potenza, e poggi su regole fondamentali, analoghe a quelle interne, cioè valide per tutti. Dalla Società delle nazioni, dopo la Prima guerra mondiale, in avanti le organizzazioni internazionali hanno sostenuto un processo che ha condotto paesi sovrani e gelosi della propria autonomia a percepirsi come solidali rispetto a problemi che riconoscono come indivisibili. Su queste premesse, nel secondo dopoguerra ‘nasce’ l’ordine mondiale multilaterale in cui ci troviamo ancora oggi”.

Su quali principi si basa il multilateralismo?

“Per ragioni storiche è un processo che si è sviluppato in Occidente, e ha quindi una doppia matrice, geografica e ideale, proponendosi di trasporre sul piano internazionale una forma essenziale di democrazia procedurale. Uno dei principi basilari è l’universalismo. Si pensi all’Organizzazione delle Nazioni unite, che accoglie i Paesi della comunità internazionale, con le loro differenze marcate, per arrivare a soluzioni condivise. Altre forme di multilateralismo sono su scala più ridotta e seguono una logica diversa, come l’Alleanza atlantica, che raggruppa diversi Paesi, principalmente nordamericani ed europei, con una finalità specifica, o l’Unione europea, l’Unione africana, l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico, il Mercato comune dell’America meridionale, che applicano il principio universalistico su scala regionale.  L’Ue spicca tra le diverse esperienze per la condivisione di aree in precedenza appartenenti all’autonomia statale, come la competenza di concludere accordi commerciali con Paesi extra-Ue a nome di tutti, e l’alto livello di solidarietà, come dimostrano i piani che sostengono i membri della regione in difficoltà”.

Con la fine della guerra fredda, la Cina ha preso il posto della Russia come attore co-protagonista sulla scena mondiale. Come si pone Pechino nei confronti del multilateralismo?

“Negli ultimi settant’anni c’è stata una forte associazione tra il multilateralismo e l’ordine mondiale generato dagli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale, mentre più di recente Paesi come Cina e India hanno accumulato una crescente quota di potere, soprattutto di tipo economico, e hanno sviluppato una propria visione sull’ordine internazionale e il multilateralismo. Alcuni dei Paesi emergenti hanno posizioni ambigue, sono aperti a un coinvolgimento nei processi multilaterali, ma al tempo stesso, visto il loro passato di colonie delle potenze occidentali, lo sono meno verso limitazioni di autonomia e interferenze interne, così come accettano meno la responsabilità, il dover rendere conto, che il multilateralismo nella sua versione più esigente impone ai partecipanti. Questi preferiscono riunirsi attraverso piattaforme o forum meno istituzionalizzati come i BRICS o il G20. La Cina si è integrata lentamente e con circospezione nell’ordine internazionale, con un approccio graduale e pragmatico, attenta a non causare fratture che porterebbero instabilità.  Oggi, in una situazione nella quale compete con altri paesi emergenti per status internazionale e attenzione del ‘Sud Globale’ si è fatta più esplicita nella sua insoddisfazione, come peraltro l’India”.

Come sta cambiando il mondo?

“L’evoluzione dell’ordine internazionale è un processo fluido e complesso. Secondo gli studiosi, data la maggior visibilità e preminenza dei Paesi emergenti, ci aspetta la compresenza di due ordini complementari. Uno più piccolo e denso in termini di principi, che raggruppa quei Paesi che hanno gli stessi valori, e uno più grande e meno denso, che contiene l’intera comunità internazionale, fatta di Paesi diversi tra loro ma che sono consapevoli dei grandi problemi comuni, come il cambiamento climatico, e sono disposti a stare insieme in una logica di governo delle principali questioni collettive con regole di base accettabili”.

Il consesso umano è flagellato da quella che papa Francesco definisce “terza guerra mondiale a pezzi”. Può il multilateralismo aiutare a riportare la pace?

“Ritengo che il progetto del multilateralismo sia l’unico che possa consentire di superare una logica competitiva nel sistema internazionale. Infatti mira a creare le condizioni per cui le funzioni internazionali si reggano su regole comuni e sul principio della reciprocità diffusa, cioè la disponibilità degli attori internazionali a dare qualcosa non in cambio di un ritorno immediato e individuale ma di un ritorno collettivo e dilazionato nel tempo.  E questa è la fonte della fiducia sul piano internazionale. Ma da almeno un decennio stiamo tornando indietro, alla politica di potenza, e oggi la qualità delle relazioni tra molti attori è assai bassa”.