Santa Giuseppina Bakhita: ecco perché veniva chiamata il “Moscone di Gesù”

Santa Giuseppina Bakhita, religiosa canossiana, Darfur (Sudan), 1869 ca. – Schio (Vicenza), 8/02/1947. Nasce in Sudan: è rapita e venduta più volte e conosce le sofferenze fisiche e morali della schiavitù. Questa tragica esperienza le fa perfino dimenticare il suo vero nome; il nome di Bakhita infatti le viene dato dai rapitori.

Avvenimenti

È convinta che è stata la Madonna a proteggere la sua verginità: infatti nonostante i suoi crudeli padroni e sebbene sia stata costretta a vivere in modo promiscuo tra gli schiavi non e stata mai violentata.

Viene comprata dal console italiano Legnami, che la porta in Italia, dove ha modo di conoscere le Suore Canossiane e di divenire una di loro. Il patriarca di Venezia, il cardinal Sarto (futuro Pio X), dopo averla conosciuta, la incoraggia nella sua scelta religiosa.

Vive nella Congregazione per oltre cinquant’anni, ricoprendo vari incarichi: cuoca, guardarobiera, ricamatrice e portinaia. Chiama Dio “el me Parón”. Durante la Prima guerra mondiale si impegna a sollevare le sofferenze fisiche e morali delle famiglie bisognose e dei soldati feriti, ricoverati nei vari ospedali militari.

Aneddoti

• Per due anni insieme a una consorella reduce dalla Cina si reca in varie citta per diffonde lo spirito missionario. I racconti della sua vicenda personale, da schiava a convertita a religiosa, suscitano molto interesse.
Da schiava ha sei padroni, il più crudele è un generale turco che la sottopone a un tatuaggio su tutto il corpo – solo il volto è risparmiato -: ben centoquattordici tagli effettuati con un rasoio, profondi circa un centimetro e poi ricoperti col sale per marcarne i segni. Si salva per miracolo da un simile trattamento: lei stessa dice che il Signore l’ha protetta per destinarla a cose migliori.

• Quando arriva a Schio la suora guardarobiera, nella sua ingenuità, non le mette le lenzuola nel letto credendo che avrebbe dovute cambiarle tutti i giorni. Giuseppina ne ride di cuore e sfregandosi la pelle con un fazzoletto bianco dimostra alla consorella che può stare tranquilla perché non “perde colore” e quindi non sporca le lenzuola.

• Per un periodo ha l’incarico di sacrestana. Passa buona parte del tempo davanti al tabernacolo. Viene denominata “il Moscone di Gesù” per il mormorio del suo pregare continuo assimilabile al ronzio di una grossa mosca nera.

• Durante la Prima guerra mondiale, una parte del convento è trasformata in ospedale militare. Bakhita nota che l’attendente del comandante porta sempre due valigie: quella sua e quella del capo. Ricordando questa situazione, lei dice di voler essere l’attendente del suo capo Gesù e quindi di portare anche la sua valigia. Una volta arrivati dal Padre avrebbe dovuto aprire le due valige: la sua piena di miserie, ma quella di Gesù talmente ricca di meriti che avrebbe annullato ampiamente le sue mancanze.

Ha infinita pazienza con le orfanelle che considera le sue padroncine. L’unica cosa che non concede loro sono le caramelle, spiegando che i suoi denti sono sani e bianchi proprio perché non le ha mai succhiate.

Insiste perché le bambine facciano una bella genuflessione davanti al tabernacolo; una le chiede perché non comincia lei a farla, lei non gli spiega che ha l’anca fratturata, ma le rispon- de dicendo che ognuno fa quello che può.

Non sentendosi all’altezza d’insegnare il catechismo ai fanciulli, collabora con le consorelle catechiste, andando in chiesa a pregare perché lo spieghino bene.

• A chi le chiede cosa farebbe se rivedesse i suoi carnefici, risponde che li ringrazierebbe e bacerebbe loro le mani, perché è per merito loro se è poi venuta in Italia e ha conosciuto la fede cristiana.

• A chi la definisce “poveretta” lei risponde: «Io non sono poveretta, perché appartengo interamente al Padrone (Signore); poveretti sono quelli che non aderiscono a lui».

• A volte, non riuscendo a muoversi, è costretta a mantenere la stessa posizione tutta la notte e alla consorella che la rimprovera per non averla svegliata, dice che Gesù in croce non ha ma chiesto di spostarsi.

• Nella Seconda guerra mondiale, durante i bombardamenti alleati, afferma, forse per illuminazione divina, che su Schio non sarebbero mai cadute bombe, Gli abitanti credono che sia stata proprio la presenza di Bakhita a risparmiare la città da danni e distruzioni.

• Un giorno, mentre è inferma, la portano in chiesa con la sedie a rotelle e si dimenticano di ritornare a prenderla: rimane così molte ore davanti al tabernacolo. La consorella che va riprenderla chiede scusa per la dimenticanza: Bakhita è felice di aver trascorso piacevolmente il tempo in compagnia del Signore, della Madonna e di san Giuseppe.

• Come è capitato con a San Giovanni Vianney e a santa Bernadette, succede anche a lei di vedere vendute le immagine che la ritraggono.

• A prelato che le chiede che cosa faccia nella sua sedia a rotelle, risponde: “Che cosa faccio? La stessa cosa che fa lei: la volontà di Dio”.

• Molte spose, passando davanti alla sua salma, infilano per un istante la fede nuziale nelle sue dita per invocare la protezione sulla loro unione matrimoniale.

Spiritualità

Passa lunghe ore in preghiera davanti al tabernacolo: prega per il papa, la Chiesa e i peccatori. Compie tutti i suoi doveri con la consapevolezza di essere sempre sotto lo sguardo infinitamente amoroso del Signore. E’ tutta intenta nell’uniformarsi alla divina volontà e non chiede al Signore di alleviarle le atroci sofferenze che deve sopportare negli ultimi anni. A chi le chiede come stia, è solita rispondere: “Come vole el Paròn” (come vuole il padrone). Grande spirito di obbedienza e sconfinata umiltà. È molto amata dai cittadini di Schio, che hanno modo di conoscerla quando è portinaia dell’Istituto per la sua umiltà, disponibilità e semplicità. Accarezza con dolcezza, con le sue mani nere, il capo dei bambini che giornalmente frequentano le scuole dell’Istituto.

Morte

Sopporta con serena pazienza la lunga e dolorosa malattia: una grave artrosi deformante, che la obbliga negli ultimi tempi alla sedia a rotelle, associata a una bronchite asmatica cronica. Muore per una polmonite. Nell’agonia rivive i giorni della terribile schiavitù e chiede a chi l’assiste che le allarghi le catene. Le sue ultime parole sono: “La Madonna! La Madonna! Quanto sono contenta!” e il suo sorriso ne testimonia il reale incontro. Una vera folla vuole vedere per l’ultima volta la “Madre moretta”. E’ canonizzata nel 2000 da san Giovanni Paolo II che la proclama “Sorella universale”.

Tratto dal libro “I santi del giorno ci aiutano a vivere e a morire” di Luigi Luzi