Se vuoi la pace difendi la vita

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foto da unsplash

La pace, vocabolo anche foneticamente attraente, rappresenta l’aspirazione profonda di ogni uomo, specie oggi, immersi come siamo in un clima di guerra perenne (169 in tutto il pianeta!). Ma qual è il vero motivo di siffatta aspirazione? Certamente, la paura (nello scorso secolo si instaurò addirittura il c.d. equilibrio del terrore, per timore dell’atomica), ma ciò non rappresenta spiegazione sufficiente. Può davvero fondarsi un valore così immenso soltanto sulla fragile base del terrore o non vi è qualcosa di più solido, duraturo, non transeunte che può cementare quella base? Altrimenti, a ben guardare, pure la devastazione bellica sarebbe pace, come stigmatizzava Tacito per bocca di Vercingetorige: «Fanno il deserto e lo chiamano pace».

Correva l’anno 1976 (8 dicembre) quando S. Paolo VI, nell’annunciare la prima Giornata mondiale della pace, vi mise a tema “Se vuoi la pace, difendi la vita”. E in tal modo argomentava il proprio assunto: «Ogni delitto contro la vita è un attentato contro la Pace, specialmente se esso intacca il costume del Popolo, come spesso diventa oggi con orrenda e talora legale facilità la soppressione della Vita nascente….Uomini, Uomini della maturità del secolo ventesimo, voi avete segnato le carte gloriose della vostra pienezza umana, se tali carte sono vere; avete sigillato per la storia la vostra condanna morale, se esse sono documenti di velleità retoriche o di ipocrisia giuridica. Il metro è là: nell’equazione tra la vera Pace e la dignità della Vita».

Il pensiero non può non rivolgersi allora a quella che S. Giovanni Paolo II definì “sorprendente contraddizione”, consistente nello iato doloroso tra le molteplici dichiarazioni dei diritti dell’uomo – splendida “scoperta dei diritti umani come diritti inerenti ad ogni persona e precedenti ogni Costituzione e legislazione degli Stati” – e “nei fatti, una loro tragica negazione” (Evangelim Vitae, 18). E come non pensare a S. Teresa di Calcutta, che in più circostanze evidenziò il collegamento tra il tema dell’aborto e quello della pace. Addirittura nel 1979, a Oslo, nel ricevere il Premio Nobel per la pace, esordì: «Io sento che il più grande distruttore della pace oggi è l’aborto, perché è una guerra diretta…»;  nel 1985, a New York, dinanzi all’Assemblea delle Nazioni Unite tuonò con la sua forte mitezza: «L’aborto è una grave minaccia per la pace»; nel ’90, in un’intervista, definì il concepito «il più povero dei poveri»; nel ’92, in una lettera al Movimento per la Vita italiano scriveva: «Se il bambino non ancora nato dovesse morire per deliberata volontà della madre, che è colei che deve proteggere e nutrire quella vita, chi altri c’è da proteggere?». E poi ancora, alla Conferenza mondiale del Cairo (1994) definì l’aborto «…il più grande distruttore di pace nel mondo». E al Congresso degli Stati Uniti dello stesso anno affermò: «Ogni nazione che accetta l’aborto non sta insegnando al proprio popolo ad amare, bensì ad usare violenza per raggiungere ciò che vuole».

Non si può allora esimersi dal rievocare il Preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, a mente del quale: «Il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, eguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo». Torna quindi prepotentemente alla ribalta la domanda fondamentale, che La Pira porrebbe “sul crinale apocalittico della storia”: il concepito è essere umano o cosa? La modernità non può evitarla, così come non si è potuta evitare nelle varie epoche la stessa domanda riguardo agli schiavi, ai neri, agli ebrei, ecc.

Si accinga, almeno, la mentalità dominante, a riflettere sul pensiero del Comitato Nazionale di Bioetica (al cui interno, si badi, seggono esponenti di svariati orientamenti culturali), il quale, in ben quattro pareri (1996; 2003; 2005 e 2006) così si è espresso: «Il Comitato è pervenuto unanimemente a riconoscere il dovere morale di trattare l’embrione umano, sin dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e tutela che si devono adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce comunemente la qualifica di persone» (22/6/96). Ecco perché manifestare per la Vita, come faremo il prossimo 20 maggio a Roma, è manifestare per la Pace.