Migranti economici: necessario rivedere la protezione internazionale

Clochard

Ci sono momenti in cui il tempo sembra fermarsi. Può accadere in un momento di gioia o anche di dolore in cui hai la percezione che qualcosa sta cambiando e lo sarà per sempre. Le feste natalizie sono tra questi ed invitano alla gioia e agli auguri. Momenti irripetibili che si apprezzano solo negli anni quando resta qualche sedia vuota.

Si parte per le vacanze o ci si ritrova in famiglia, quando c’è, o con gli amici e si fa cerca di fare festa. Su Facebook foto a non finire di cene luculliane che servirebbero a sfamare centinaia di persone e in pubblicità anche mantelline e coperte da 600 euro per i propri cagnolini.

Ma esistono anche altre realtà, sia in Italia che nelle Marche e nella nostra bella Ancona in cui si soffre e si muore. In queste sere, con alcuni amici della delegazione Marche Nord dell’Ordine di Malta e del Lions Ancona La Mole ho girato alcune delle nostre strade cercando di portare qualcosa di caldo , coperte e sacchi a pelo ai clochard che dormono all’aperto.

Quella dei clochard sembrerebbe una realtà sconosciuta tra noi, invece ho incontrato tanta gente disperata che cercava di nascondere la propria povertà e di rifugiarsi nel buio dal freddo e dai controlli delle Forze dell’Ordine.

Mi ha colpito l’altra sera un giovane di colore con gli occhi lucidi che mi ha sorriso con dolcezza. Nelle persone dalla pelle bianca il freddo o il caldo si vede dal rossore dei viso, nei ragazzi di colore per leggerne i sentimenti e gli stati d’animo bisogna osservare gli occhi.

Sotto al Passetto, luogo simbolo della città di Ancona, c’era una intera comunità di giovani afgani e pakistani, con scarpe da tennis piene di buchi che si era organizzata alla meglio con tende e coperte. Mi sono chiesto perché avessero scelto un luogo così bersagliato dalle raffiche di vento provenienti dal mare. E mi hanno risposto: “Abbiamo bisogno di acqua per lavarci”. Ho pensato alla mia disperazione quando si è rotta la caldaia e per due giorni siamo rimasti al freddo, in casa riscaldati dal fuoco del caminetto…

Nella zona degli Archi vicino al parcheggio c’erano tre giovani di colore, rannicchiati in un angolo, ed un mio amico ha chiesto ad uno di loro: “Stai male?”. “No”, ha risposto. “Ma hai gli occhi lucidi. Hai fumato o hai bevuto?”. “Si, ho bevuto – ha risposto, incalzato -. Prova tu a dormire la notte all’addiaccio, al freddo. Poi mi dirai …”.

Mi sono detto: siamo sempre pronti a giudicare gli altri ma se non ci spogliamo dei nostri bei abiti, dei maglioni di cachemire e ci togliamo quelle scarpe di marca il cui costo vestirebbe un povero…non possiamo capire.

In questo Natale in cui non sono mancate le luci in città e in cui pure tanti si sono prodigati nel dire che in Ancona si vive bene – e probabilmente è così rispetto ad altre città come Roma o Milano – ci sono persone che non hanno nulla e che sono costrette ad essere il nulla.

Questi nostri fratelli non hanno neanche una identità perché quando scappano dalla fame la prima cosa che fanno i trafficanti è strappare i documenti sicché è difficile comprendere il luogo di provenienza e collocarli nel “girone” giusto, ovvero tra i migranti che scappano dalla guerra oppure tra quelli economici.

Ho visto anche giovani appartenenti ad altre associazioni umanitarie girare per le strade. A tanta povertà quel poco che abbiamo dato è stato una goccia, ma come diceva Madre Teresa “sappiamo bene che non è che una goccia nell’oceano. Ma se questa goccia non ci fosse, all’oceano mancherebbe”.

Importante non è ciò che facciamo, ma quanto amore mettiamo in ciò che facciamo; bisogna fare piccole cose con grande amore. Ho visto alcune di queste gocce versate da giovani o da adulti con le famiglie lasciate a casa, che hanno scelto di condividere un po’ del proprio tempo con una realtà che si può conoscere solo girando di notte, per strada.

È una opera preziosa, strutturale, quella che fa la Caritas e fanno sperare le parole dette da mons. Angelo Spina arcivescovo metropolita di Ancona-Osimo – nell’aprire la nuova mensa di Palombella: “Basta con la retorica! E’ necessaria una rete di solidarietà”.

Ma vanno anche sicuramente risolti al più presto, a livello istituzionale, i problemi connessi alle varie forme di riconoscimento della protezione internazionale. Questi “migranti economici” hanno lasciato in patria affetti e talvolta le poche cose che possedevano per iniziare un viaggio nella speranza di un destino migliore e molti, troppi di loro, si sono ritrovati a morire nel deserto o nel mare; molti di loro sono questi disperati, costretti per vivere ad elemosinare sulle strade, costretti a nascondersi per paura dei controlli da parte delle Forze dell’Ordine che – in realtà – non farebbero che aiutarli a non morire di freddo e di fame.

La povertà non si può combattere combattendo i poveri: vanno sicuramente riviste le forme di protezione internazionale. E come ha detto il Vescovo Spina va costituita una rete e ci si rimbocca le maniche; se no, il Bambino Gesù continuerà a morire sulle strade.