SENZA PIETA’

Il Procuratore Capo di Roma Giuseppe Pignatone è determinato a vederci chiaro sulla scomparsa del geometra romano Stefano Cucchi. La rivolta di popolo dopo la sentenza che venerdì scorso ha assolto tutti i 12 imputati tra agenti della penitenziaria, medici e infermieri per insufficienza di prove è un segnale impossibile da trascurare. Si è deciso dunque per la rilettura complessiva degli atti dell’inchiesta dal primo all’ultimo foglio, comprese le motivazioni della sentenza stessa, “ma tutto sarà fatto con animo sereno e senza pregiudizi né positivi né negativi”.

L’eventuale riapertura dell’inchiesta sulla sua morte, avvenuta nel 2009 nel reparto protetto dell’ospedale Pertini una settimana dopo il suo arresto per possesso di droga e con evidenti ecchimosi trovate sul cadavere, passerà dunque attraverso le carte dell’inchiesta. E punterà anche a verifiche su chi non è mai stato oggetto di indagine.

Intanto la giornata di ieri è trascorsa con un fiume di polemiche che hanno invaso il web, con cantanti e vip a metterci la faccia. Adriano Celentano ha definito i giudici “ignavi”, Jovanotti su Facebook ha scritto: quando lo Stato “prende in consegna un cittadino disarmato, lo arresta, in base al diritto democratico quella persona deve potersi sentire totalmente al sicuro anche nel caso più estremo, anche se fosse il peggiore dei fuorilegge”. Su twitter si è diffuso in maniera virale l’hashtag #sonoStatoio; in tanti hanno deciso di mettere la propria foto con un cartello o un semplice pezzo di carta e la scritta che rimanda allo Stato la responsabilità di quanto successo a Stefano.

Il calvario di Cucchi comincia il 15 ottobre del 2009: viene fermato dai carabinieri mentre cede droga in cambio di denaro. Trasferito nella stazione dell’Arma di Appio Claudio e perquisito, è trovato in possesso di stupefacente. Quindi portato, per mancanza di posti, nella caserma di Tor Sapienza. Nella notte si sente male, dà in escandescenza e chiamano un’ambulanza. Nel verbale d’arresto il primo errore: i carabinieri scrivono che era nato in Albania il 24 ottobre del 1975 e che viveva in Italia senza fissa dimora.

Dopo avere trascorso la notte in caserma Cucchi il giorno dopo, 16 ottobre, alle 9 del mattino parte il trasferimento in tribunale per l’udienza di convalida. Mentre si trova nelle celle di sicurezza in attesa dell’udienza, secondo quanto accertato nel processo di primo grado, sarebbero arrivate le botte. Stefano giunge davanti al giudice con difficoltà motorie ed evidenti ematomi intorno agli occhi. Pochi minuti prima era riuscito a scambiare qualche parola con il padre assicurandogli però che non era stato picchiato.

Il giudice fissa una nuova udienza e conferma il carcere per Stefano anche perché secondo il verbale era senza fissa dimora. Cucchi viene quindi trasferito alle 15.45 a Regina Coeli: in base ai documenti dell’inchiesta in cella non gli vengono riscontrati traumi fisici, altra svista. Ma le condizioni del giovane peggiorano e per questo alle 20 viene trasportato in ambulanza al Fatebenefratelli: qui i medici accertano invece una frattura vertebrale.

Il 17 ottobre alle 12.15 Cucchi torna in ospedale e appare ai medici “molto sofferente”. Viene quindi disposto il trasferimento nel reparto protetto del Pertini che avviene alle 19. Le condizioni di salute continuano a peggiorare: Stefano muore il 22 ottobre. “Morì di fame, di sete e per la negligenza dei medici”, sancì una perizia. Al momento del decesso pesava appena 37 chilogrammi, 43 al suo arrivo a Regina Coeli.