Papa: “La preghiera è rivolgerci a Dio come a un amico”

Nel suo discorso durante l'udienza generale il Santo Padre ha ripreso il nuovo ciclo di catechesi sul Discernimento

Concilio

L’udienza generale di questa mattina si svolge alle in Piazza San Pietro, dove il
Santo Padre Francesco incontra gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana il Papa, riprendendo il nuovo ciclo di catechesi sul Discernimento, incentra la Sua meditazione sul tema: “Gli elementi del discernimento. La familiarità con il Signore”.

La meditazione del Papa

“Riprendiamo le catechesi sul tema del discernimento, e oggi ci soffermiamo sul primo dei suoi elementi costitutivi, che è la preghiera. La preghiera è un aiuto indispensabile per il discernimento spirituale, soprattutto quando coinvolge gli affetti, consentendo di rivolgerci a Dio con semplicità e familiarità, come si parla a un amico. È saper andare oltre i pensieri, entrare in intimità con il Signore, con una spontaneità affettuosa. Il segreto della vita dei santi è la familiarità e confidenza con Dio, che cresce in loro e rende sempre più facile riconoscere quello che a Lui è gradito. Questa familiarità vince la paura o il dubbio che la sua volontà non sia per il nostro bene, una tentazione che a volte attraversa i nostri
pensieri e rende il cuore inquieto e incerto. Il discernimento non pretende una certezza assoluta, perché riguarda la vita, e la vita non è sempre logica, presenta molti aspetti che non si lasciano racchiudere in una sola categoria di pensiero. Vorremmo sapere con precisione cosa andrebbe fatto, eppure, anche quando capita, non per questo
agiamo sempre di conseguenza. Quante volte abbiamo fatto anche noi l’esperienza descritta dall’apostolo Paolo: «Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7,19). Non siamo solo ragione, non siamo macchine, non basta ricevere delle istruzioni per eseguirle: gli ostacoli, come gli aiuti, a decidersi per il Signore sono soprattutto affettivi. È significativo che il primo miracolo compiuto da Gesù nel Vangelo di Marco sia un
esorcismo (cfr 1,21-28). Nella sinagoga di Cafarnao libera un uomo dal demonio, liberandolo dalla falsa immagine di Dio che Satana suggerisce fin dalle origini: quella di un Dio che non vuole la nostra felicità. L’indemoniato sa che Gesù è Dio, ma questo non lo porta a credere in Lui. Dice infatti: «Sei venuto a rovinarci» (v. 24).
Molti, anche cristiani, pensano la medesima cosa: che cioè Gesù possa anche essere il Figlio di Dio, ma dubitano che voglia la nostra felicità; anzi, alcuni temono che prendere sul serio la sua proposta significhi rovinarsi la vita, mortificare i nostri desideri, le nostre aspirazioni più forti. Questi pensieri fanno talvolta capolino dentro di noi: che Dio ci chieda troppo, o voglia portarci via ciò che abbiamo di più caro. Che insomma non ci voglia davvero bene. Invece, nel nostro primo incontro abbiamo visto che il segno dell’incontro con il Signore è la gioia. La tristezza, o la paura, sono invece segni di lontananza da Lui: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti», dice Gesù al giovane
ricco (Mt 19,17). Purtroppo per quel giovane, alcuni ostacoli non gli hanno consentito di attuare il desiderio che aveva nel cuore, di seguire più da vicino il “maestro buono”. Era un giovane interessato, intraprendente, aveva preso l’iniziativa di incontrare Gesù, ma era anche molto diviso negli affetti, per lui le ricchezze erano troppo importanti. Gesù non lo costringe a decidersi, ma il testo nota che il giovane si allontana da Gesù «triste» (v. 22). Chi si allontana dal Signore non è mai contento, pur avendo a propria disposizione una grande abbondanza di beni e possibilità. Discernere non è facile, perché le apparenze ingannano, ma la familiarità con Dio può sciogliere in modo soave dubbi e timori, rendendo la nostra vita sempre più ricettiva alla sua «luce gentile», secondo la bella espressione del Santo John Henry Newman. I santi brillano di luce riflessa e mostrano nei semplici gesti della loro giornata la presenza amorevole di Dio, che rende possibile l’impossibile. Si dice che due sposi che hanno vissuto insieme tanto tempo volendosi bene finiscono per assomigliarsi. Qualcosa di simile si può dire della preghiera affettiva: in modo graduale ma
efficace ci rende sempre più capaci di riconoscere ciò che conta per connaturalità, come qualcosa che sgorga dal profondo del nostro essere. Chiediamo questa grazia: di vivere una relazione di amicizia con il Signore, come un amico parla all’amico (cfr S. Ignazio di L., Esercizi spirituali, 53). È una grazia che dobbiamo chiedere gli uni per gli altri: vedere Gesù come il nostro Amico più grande e fedele, che non ricatta, soprattutto che non ci abbandona mai, anche quando noi ci allontaniamo da Lui”.