L’Unione Europea sul crinale: solidarietà o egoismo?

L’europarlamentare Elisabetta Gualmini analizza a Interris.it le decisioni dell’Europa per far fronte al Coronavirus

Snodo storico per l’Unione Europea. Il Coronavirus ha messo in ginocchio il sistema sanitario di molti paesi dell’Ue e l’economia dell’eurozona è in recessione nera. “Questa crisi mette l’Europa davanti alle sue responsabilità e lega fortemente il suo futuro a ciò che riuscirà a fare nell’immediato” è il commento che Elisabetta Gualmini, europarlamentare del Partito Democratico, esprime a Interris.t

Quanto deciso all’Eurogruppo risponde alle aspettative italiane?
“Io penso che ci sia stato un grande passo in avanti nelle ultime settimane e anche all’ultimo Eurogruppo sono state prese decisioni importanti che vanno nella giusta direzione. Rispetto agli inizi della crisi, alla gaffe della Lagarde e alle risposte poco coordinate delle istituzioni europee, le cose sono profondamente cambiate. L’Europa ha risposto attraverso un ventaglio di strumenti diversi. L’Eurogruppo ha di fatto concordato su una strategia fatta di 4 gambe: Sure, lo strumento per la disoccupazione, il rafforzamento della Banca europea degli investimenti (BEI) a favore delle PMI, il bilancio pluriennale dell’Unione che dovrebbe contenere il Piano di ricostruzione, la linea speciale del Fondo Salva Stati (o MES) senza condizionalità. È già tanto, e ora spetta al Consiglio mettere da parte ogni egoismo di parte. Certo le difficoltà ci sono sempre in un’Europa fatta da 27 paesi dove è ancora forte il metodo intergovernativo ed in molte materie, come quella fiscale, si vota all’unanimità”.

Questa difficoltà nel prendere decisioni è segno di un malessere e divisioni profondi in Europa?
“La difficoltà sta nel fatto che molte forze politiche, sovraniste e nazionaliste, anche quelle che oggi chiedono a gran voce che l’Europa deve essere più forte, hanno da sempre lavorato allo smantellamento del progetto europeo. Penso alla Lega o a Fratelli d’Italia, e anche al Movimento 5 Stelle per certi versi. Non si può chiedere un’Europa forte nei momenti di crisi e poi schierarsi costantemente contro ogni tentativo di dare maggiori poteri all’UE. Dopodiché, certamente, gli stati contano ancora molto in Europa, e le divisioni tra paesi del Nord e Sud e tra Est e Ovest ci sono ancora. I paesi frugali del Nord fanno fatica, incredibilmente, a capire che oggi serve uno sforzo di solidarietà e di impegno fuori dall’ordinario, così come i paesi dell’Est a differenza di quelli dell’Ovest hanno approfittato dell’Unione per ottenere enormi trasferimenti di risorse senza dare nulla in cambio e addirittura approfittando della pandemia per cancellare lo stato di diritto, come l’Ungheria di Orban”.

L’Italia riesce a sedersi unita al tavolo europeo al di là delle distinzioni fra i partiti?
“In una fase come questa servirebbe davvero il massimo dell’unità nazionale. All’inizio dell’emergenza sanitaria ed economica, questa coesione tra partiti si era vista; ora stanno già emergendo gli interessi e gli opportunismi dei diversi partiti. Con i partiti di opposizione che addirittura diffondono falsità, come quella che sostiene che il nostro paese sta già utilizzando il Fondo Salva Stati, mentre per adesso nessun paese ha chiesto di avere accesso a quel fondo. L’Eurogruppo ha semplicemente istituito un canale speciale di finanziamento per l’ambito sanitario senza alcuna condizionalità, che ciascuno stato membro può chiedere, volontariamente, in caso di bisogno. Inoltre, cominciano a vedersi i litigi per i tempi e i modi della riapertura, così come conflitti diffusi tra centro e periferia nel governo della sanità. Tutto questo non aiuta, e aumenta la confusione; in una fase in cui i cittadini o sono stremati perché incappati nella malattia o sono stanchi di stare sigillati in casa”.

Il Mes con qualche condizionalità in meno è un’opzione che l’Italia dovrebbe accettare?
“Come dicevo sopra, non si è ben compreso quello che è successo. L’Eurogruppo ha solamente deciso di modificare lo statuto del MES, introducendo una linea speciale di prestito senza condizionalità, fino a 210 miliardi, per quei paesi che desiderano chiedere un aiuto immediato per l’emergenza sanitaria. Questo non vuol dire che l’Italia ha già chiesto il prestito, anzi al momento non sembra proprio che il nostro paese lo chieda. D’altra parte, penso che dentro ad un pacchetto più ampio, cioè insieme a Sure – il meccanismo europeo contro la disoccupazione, l’apertura della discussione sugli Eurobond e il rafforzamento della Banca europea degli investimenti, possa starci anche questa ulteriore opportunità. La cosa importante è non strumentalizzare e capire bene cosa l’Eurogruppo ha deciso sinora”.

È in gioco la credibilità dell’Europa, questo è un banco di prova che può significare la morte dell’Ue?
“Certamente, questa crisi mette l’Europa davanti alle sue responsabilità e lega fortemente il suo futuro a ciò che riuscirà a fare nell’immediato. Ne siamo consapevoli. Ma non penso che la vita o la morte del progetto europeo dipendano, come molti provano a far credere, da Eurobond sì o Eurobond no. Le istituzioni dell’UE, sia esterne (MES e BEI) sia unionali (BCE, Commissione e Parlamento) hanno capito che occorre rispondere subito alla richiesta di aiuto dei 450 milioni di cittadini europei e dunque occorre accompagnare con misure straordinarie la ripresa economica. Ora si tratta, con un po’ di pazienza e razionalità, e con il massimo del coordinamento possibile, di dare seguito alle decisioni prese e di mettere a punto procedure semplici e immediate perché gli aiuti arrivino immediatamente a cittadini, famiglie e imprese. Chi avrebbe mai detto ad esempio che il Patto di stabilità europeo sarebbe stato sospeso immediatamente? O che gli aiuti di stato sarebbero stati completamente deregolamentati? Io sono ottimista, l’Europa, come diceva Jean Monnet: “è la somma delle risposte alle sue crisi più profonde”. Da questa crisi, dovrà uscire un’Unione europea più forte, più consapevole, a cui cedere più poteri anche in campo sanitario ed economico. Senza l’ossessione per l’austerità, ma con un’attenzione alle condizioni sociali, economiche e occupazionali dei suoi cittadini”.

Si arriverà agli Eurobond?
“Intanto chiariamo una cosa. L’Europa ha già messo a disposizione dei bond, sia per finanziare il programma SURE contro la disoccupazione -tramite emissioni di titoli da parte della Commissione- e lo farà anche per il rafforzamento della BEI -sarà la Banca europea degli investimenti che emetterà titoli sul mercato per finanziare l’aumento del suo capitale-. Dunque Surebond e BeiBond esistono già. Dall’ultimo Eurogruppo, abbiamo capito che alcune resistenze della Germania e del partito della Merkel in particolare sono state superate. Ora rimane la riottosità ottusa dell’Olanda, paese che continua a beneficiare di sconti fiscali da parte dell’Europa oggi incomprensibili, e che in cambio pensa di non dover dare nulla. Questo è inaccettabile. Io vedo spazi perché nell’ambito del prossimo Consiglio dei capi di Stato e di governo (fissato il 23 aprile ndr) si possa fare un passo in avanti e arrivare finalmente ad un accordo sugli Eurobond”.