De Carli (PdF): “Riportare il Ppe alla sua vocazione cristiana”

Sono passati pochi giorni dalla sentenza della Cassazione che impedisce alle coppie omosessuali di trascrivere all'anagrafe italiana l'atto di filiazione – riconosciuta in un Paese straniero – di un bambino nato all'estero ricorrendo alla maternità surrogata. “Una sentenza storica – la definisce Mirko De Carli, esponente di spicco del Popolo della Famiglia – che dimostra che non era affatto inutile la nostra battaglia che partì con ‘Voglio la mamma’ di Mario Adinolfi e la moratoria Onu su ‘La Croce quotidiano’ per il bando all'utero in affitto”. Battaglie come questa, che riguardano i principi non negoziabili, costituiscono il dna del Popolo della Famiglia, il cui simbolo sarà presente sulla scheda elettorale alle urne del 26 maggio per eleggere il nuovo Parlamento europeo. De Carli, intervistato da In Terris, si candida nel collegio del Nord Est.

Avete sempre rivendicato di essere un partito coerente. Come spiegate di aver formato una lista con Alternativa Popolare, erede del Ncd, parte di quel governo che avete duramente contestato durante i Family Day?
“Alternativa Popolare si è profondamente rinnovata rispetto al passato: alcuni leader come Angelino Alfano hanno abbandonato la politica, altri sono rientrati in Forza Italia ed altri ancora sono stati eletti nel centrosinistra. Ora questa formazione condivide i nostri stessi valori che sono stati tradotti nel programma elettorale, il cui presupposto sono i principi non negoziabili, iscritti alla storia da Benedetto XVI quando li enunciò come punto di riferimento per l’azione di tutela della persona, della vita e della famiglia. Il Papa decise di affidarli solamente al Ppe, motivo che spiega la nostra decisione di entrare nella grande famiglia del popolarismo europeo”.

Famiglia del popolarismo europeo che, ad oggi, non sembra avere i principi non negoziabili come bussola del proprio agire sui temi etici…
“Il candidato del Ppe alla presidenza della Commissione europea, Manfred Weber, ha dichiarato pubblicamente di voler rimettere al centro del dibattito politico le radici cristiane dell’Europa. Poi la famiglia del popolarismo è ampia, la più grande a Bruxelles, ed è logico che possano esserci elementi di contraddizione. Certe derive dovute all’alleanza con il Partito socialista vanno combattute. Il nostro obiettivo dentro il Ppe sarà quello di lavorare per riportarlo alla sua vocazione originaria di promuovere una visione cristiana”.

Contate sul sostegno della Chiesa italiana?
“Nei nostri giri per l’Italia, abbiamo avuto il piacere di fare diverse iniziative pubbliche ed incontri privati con dei vescovi. Ma non tiriamo per la giacchetta né i vescovi né il Papa, piuttosto crediamo che sia necessario creare un soggetto interlocutore delle battaglie della Chiesa di Francesco: la solidarietà, l’immigrazione sostenibile, la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, il contrasto alla colonizzazione ideologica”.

Il Papa ha messo in guardia dai nazionalismi che alzano muri. Condividete?
“Accogliamo le parole del Papa come spunti di riflessione. I muri, se non sono accompagnati da un progetto di accoglienza dell’immigrazione sostenibile e di sostegno alle zone più povere del pianeta, sono inutili, perché prima o poi crollano sotto la spinta dei disperati. Bisogna svolgere un’azione di difesa comune dei confini europei attraverso i militari e l'intelligence. Poi bisogna realizzare le quote di immigrati, di modo che ogni Stato possa decidere ogni anno, a seconda delle proprie esigenze, quanti immigrati servono al proprio tessuto economico. Così si realizza l’appello del Papa ad un’accoglienza in base alle disponibilità degli Stati”.

Un appello che a suo avviso è raccolto dall’Ungheria di Orban, che lei stesso hai più volte elogiato?
“Noi non siamo d’accordo con Orban su tutto: condividiamo le sue politiche per la famiglia, per le imprese. Il premier ungherese conduce una battaglia nel Ppe affinché si rompa quell’alleanza deleteria con i socialisti e si dialoghi piuttosto con i sovranisti, che saranno probabilmente il gruppo maggiore nel prossimo Europarlamento. L’obiettivo, che noi condividiamo, è spezzare la logica della finanza che finora ha regnato a Bruxelles per riaffermare l’Europa dei popoli. Passi necessari in tal senso sono l’elezione diretta della Commissione europea e un Parlamento che abbia sempre di più una funzione legislativa. Sul tema dell’immigrazione, Orban ha preso misure simili a quelle di Salvini in Italia, ma resta pur sempre nel Ppe benché ad oggi sospeso”.

Il PdF condivide queste misure?
“Sull’Ungheria non ci esprimiamo perché ha dei problemi specifici che, da italiani, non conosciamo bene. Sicuramente non condividiamo la retorica ideologica di Salvini: è inutile sbandierare il calo degli sbarchi da quando lui è al Viminale, perché il sistema Italia non migliora per questo. Si esce dalla retorica, piuttosto, quando si agisce a livello europeo superando il trattato di Dublino e ragionando – ripeto – con il sistema delle quote. Questa sarebbe una posizione che metterebbe d’accordo sia i sovranisti sia i popolari isolando la sinistra e i suoi appelli pro-immigrazione e pro-diritti per tutti”.

Su temi di politica internazionale come vi ponete? Penso ad esempio alle sanzioni alla Russia…
“Non siamo eletti in Parlamento e non abbiamo la pretesa di incidere su questioni internazionali. La mia opinione personale, che credo trovi ampia rappresentanza, è che le sanzioni alla Russia siano sbagliate, perché Mosca è un nostro partner. Occorre che l’Italia assuma il suo ruolo che sempre l’ha contraddistinta di equilibratore tra la Russia e gli Stati Uniti”.

Russia, Stati Uniti, ma c’è anche la Cina. Cosa pensate della Via della Seta?
“Che è un problema. Le tratte commerciali devono esserci, per questo propongo nel mio programma la realizzazione del più grande hub portuale d’Europa da Ravenna fino a Trieste. Ma certi trattati vanno affrontati a livello europeo, altrimenti il rapporto di forza è impari. La Cina ha un regime non democratico, dunque i rapporti vanno equilibrati non da cancellerie che agiscono al chiuso ma attraverso un’azione del Parlamento e di una Commissione rappresentativa della volontà del popolo”.

Cosa sarà del Popolo della Famiglia se il 26 maggio non sarà migliorato il risultato ottenuto un anno fa alle politiche, ossia se non si andrà oltre la “soglia psicologica” dello zero virgola?
“Cercheremo di prendere almeno un voto in più dei 220mila di un anno fa. La visibilità mediatica è cresciuta in modo esponenziale: confidiamo che ciò abbia persuaso i cattolici del fatto che nessun altro ha un’offerta politica come la nostra sulla difesa di vita, persona e famiglia. Ad ogni modo, noi ci saremo anche dopo, la nostra battaglia non si esaurisce alle urne: per esempio i nostri gazebo sono presenti in tutta Italia per raccogliere le firme per il ‘Reddito di Maternità’, ne abbiamo già prese 60mila e questo dimostra che il PdF è in buona salute”.