Finisce l’era dei buoni pasto utilizzati al supermercato per fare la spesa: con l’incentivo fiscale ai ticket elettronici, entrato in vigore all’inizio di luglio, sarà più facile controllare la spesa e tracciarla. In questo modo, il lavoratore non potrà più accumulare, durante la settimana, i buoni per poi spenderli tutti in una volta, ma sarà costretto ad utilizzarne non più di uno al giorno, e comunque solo nei giorni lavorativi (o festivi per chi è di turno.
Se la legge di stabilità per il 2015 ha alzato il valore del buono da 5,29 a 7 euro, grazie a un nuovo livello di esenzione dalla tassazione, sottolinea che tali agevolazioni “non concorrono a formare il reddito”, ma vuole solo sostituire una mensa aziendale vera e propria, alleggerendo il datore di lavoro dalle spese necessarie per mantenerla.
Vista l’esenzione fiscale e contributiva, è plausibile che le aziende si orientino sempre più verso la forma elettronica. E qui scatta il risvolto che sta mandando in allarme i consumatori, che soprattutto in questo momento di crisi hanno utilizzato i buoni come vero e proprio supporto al reddito, per pagare il supermercato (il 70% dei ticket viene staccato nella grande distribuzione, solo una minima parte in bar e ristoranti). Stop dunque al cumulo dei ticket, che potranno ancora essere utilizzati alle casse del supermercato, ma uno alla volta (per un massimo di 7 euro).
Ma già gli esercizi avevano sottolineato i costi “insostenibili” dei ticket. La Fipe (Federazione dei pubblici esercizi) ha denunciato “un morso da 500 milioni all’anno”: a tanto ammonta lo scontro tra il valore facciale dei buoni e quello riconosciuto dai committenti, “coperto sacrificando i margini degli esercenti fino ad azzerarli”, come ha sottolineato Aldo Cursao, della Fipe. Il dito si è puntato anche contro la Consip, che ha aggiudicato una gara da 1 miliardo di valore spuntando uno sconto del 20%: in circolazione ci saranno buoni pasto che valgono un miliardo di euro ma sono stati pagati circa 800 milioni dalla Pa. Il risultato, denunciano gli esercenti, è che la differenza si ribalterà sulle commissioni, che arrivano in Italia al 18% contro il 3% della Francia. A questo, si aggiunge il conto legato alla necessità di installare i Pos (ne servono cinque o sei, visto che ogni ticket ha il suo circuito e il Pos unico resta un miraggio) con i suoi canoni. Ma come al solito, quelli che rischiano di pagare i conti sono i consumatori, che non potranno trarre sollievo dai ticket per il proprio bilancio familiare.
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