Yemen, il 'Nyt': “Civili bombardati con armi italiane”

L'Italia osserva in maniera scrupolosa il diritto nazionale ed internazionale in materia di esportazione di armamenti e si adegua sempre ed immediatamente a prescrizioni decise in ambito Onu o Ue. L'Arabia Saudita non è soggetta ad alcuna forma di embargo, sanzione o altra misura restrittiva internazionale o europea”. La spiegazione del Ministero degli Esteri non si è fatta ma, a ogni modo, l'inchiesta pubblicata dal 'New York Times' sulle armi italiane impiegate dall'Arabia Saudita per colpire obiettivi civili in Yemen ha già fatto il suo effetto. Una vicenda non certo nuova (come peraltro ammesso dalla stessa Farnesina, “il Governo ha fornito chiarimenti più volte nel corso della legislatura, anche in sede parlamentare”) ma che, ogni volta, lascia una scia amara e contrastante anche sull'onda della polemica più volte lanciata da numerose associazioni da qualche anno a questa parte.

Dalla Sardegna all'Arabia Saudita

L'export di armi con l'Arabia Saudita, come spiegato dal 'Nyt', è un businness che non riguarda solo l'Italia ma anche altri Paesi come il Regno Unito e gli Stati Uniti d'America. L'ultima inchiesta, però, ha messo in risalto quella che sarebbe la fabbricazione di armi in Sardegna (a Domusnovas, vicino Iglesias), con le immagini del mare insulare poste come antitesi agli scenari di devastazione dello Yemen bombardato: “In base alla nostra inchiesta – hanno precisato dalla testata newyorkese – c'è stato un aumento sostanziale dell'export nel settore solo nel 2017″. Nel corso del video-documentario, vengono ripercorse tutte le tappe degli ordigni, dalla fabbricazione alla spedizione verso l'Arabia Saudita, attraverso voli aerei o trasferimenti navali dal Canale di Suez verso Ta'if: “Fonti hanno dichiarato al 'New York Times' – spiegano nell'inchiesta – che molte delle bombe che vengono caricate su quelle navi sono destinate alla Royal Air Force”.

Strumenti di morte

La Farnesina, a partire dal 2015, ha sempre assicurato che tali ordigni (bombe Mk-80 tra i 250 chili fino a una tonnellata di peso) sono costruiti per essere sganciati dagli aerei da guerra contro le postazioni nemiche. Varie parti di bomba, tuttavia, sono state rinvenute nei pressi di obiettivi civili non in corrispondenza di covi dei ribelli Houthi. Frammenti che, in alcuni casi, riportavano il codice di fabbrica A4447 e che, in qualche modo, lasciano aperti numerosi dubbi sul tema, nonostante le parole di rassicurazione sul “rispetto della legge” arrivate dai vertici del Governo. L'inchiesta del 'Nyt' ha contribuito certamente ad amplificare i toni attorno a una questione nota già da tempo dalle parti di Palazzo Chigi ma, al contempo, ad aumentare la risonanza sulla guerra invisibile dello Yemen che, negli ultimi anni, ha provocato migliaia di vittime fra la popolazione civile e una delle peggiori crisi umanitarie dell'era moderna. Al di là di ogni possibile versione su quanto emerso dall'indagine del quotidiano, resta il fatto che il mercato delle armi resta continua a essere uno dei maggiori businness per troppi Paesi, facendo sì che gli sforzi industriali vengano convogliati più verso la costruzione di potenziali strumenti di morte che per l'edificazione di un percorso di pace. Un dato inquietante, sul quale vale la pena riflettere.