Trump, ecco il piano per i “dreamers”

Archiviata, almeno per ora, la mina vagante dello shutdown, si apre l'urgente sfida dei “dreamers” per Donald Trump. Il sottilissimo filo che ha unito le due sponde del Congresso degli Stati Uniti, intrecciato proprio sul futuro dei giovani migranti illegali, rappresenta al momento la questione più delicata per preservare l'accordo prolungato fino all'8 febbraio. La proposta del Tycoon era già chiara: ok ad aprire a una fascia di persone prive della cittadinanza americana ma a patto che i democratici contribuiscano alle spese per il muro con il Messico. E ora ci sono anche i numeri: “sì” del presidente a 1,8 milioni di giovani illegali ma sforzo della minoranza d'opposizione per erigere la linea di frontiera sul Rio Grande ma anche per la sicurezza, in generale, delle zone di confine.

Il piano

Il compromesso offerto da Trump rappresenta, in buona sostanza, il piano sull'immigrazione in attesa di presentazione (lunedì prossimo in Senato) e che, pur non ancora svelato nei dettagli, ha già iniziato a far discutere non solo gli attivisti ma persino qualche membro dello stesso partito presidenziale, restio a far passare un programma che, a detta di qualcuno, andrebbe a stringere ancora di più sugli immigrati. A ogni modo, il piano redatto dal consigliere Miller e dal capostaff Kelly, dovrebbe costituirsi come la base d'appoggio per sciogliere il nodo dei “dreamers” e dimenticare i tre giorni di shutdown: il programma prevede la regolarizzazione di un numero ben superiore ai 700 mila (finora protetti dal Daca di Obama, soppresso a settembre) richiesti dai democratici ma, di contro, una cifra attorno ai 25 miliardi per muro e dispositivi di sicurezza ai confini.

Rischio dentro-fuori

L'impasse politica da superare non è certamente di poco conto: Trump dovrà convincere i democratici della “generosità” di un piano che, da altre parti, viene visto come una stretta ulteriore ma che, al momento, resta l'unica soluzione percorribile considerando la scadenza imminente dell'accordo: una sorta di “dentro-fuori”, dunque, con poco tempo per decidere e molte questioni da risolvere. Il presidente, da parte sua, dovrebbe impegnarsi per ridurre la cosiddetta “migrazione a catena”, concedendo ai residenti negli Stati Uniti di ottenere solo visti per i familiari più stretti (coniuge o figli). Un punto che ha visto il dissenso di alcune associazioni pro-migranti, tra le quali 'United we dream': “La nostra paura, il nostro dolore e le nostre vite non devono essere usate per incatenare i nostri genitori e bandire coloro che cercano rifugio, non dobbiamo essere abituati a distruggere il tessuto morale di questo Paese”. Apprezzamenti, invece, fra i conservatori come il repubblicano Tom Cotton: “Il quadro del presidente è generoso e umano, pur essendo responsabile”.