NUCLEARE ED ELEZIONI, PER L’IRAN INIZIA UNA NUOVA ERA

Per l’Iran il 2016 potrebbe essere l’anno della svolta, soprattutto per l’entrata pieno in vigore dello storico accordo sul nucleare, siglato lo scorso 14 luglio a Vienna. Per l’ “implementation day” di quell’intesa si attende la revoca delle sanzioni che hanno frenato l’economia iraniana soprattutto negli ultimi anni, escludendola in particolare dai circuiti finanziari internazionali e riducendone l’export del petrolio. Le sfide che l’economia iraniana si trova di fronte si chiamano però anche ammodernamento del suo sistema produttivo e rilancio dell’imprenditoria privata, nell’ambito di un sistema ancora dominato dal settore pubblico nelle sue varie forme.

Ma le prove per l’Iran nel 2016 sono molte altre ancora. Il 26 febbraio si terranno le elezioni per il nuovo Parlamento, ora dominato dagli ultraconservatori, e che il fronte del presidente Hassan Rohani, con le ali moderate di riformisti e conservatori, punta a riconquistare. Le quasi 12 mila candidature registrate per i 290 seggi del Majlis andranno al vaglio del Consiglio dei Guardiani, l’organo che ha l’ultima parola sull’idoneità dei candidati: anche qui dominano i conservatori, che hanno già lanciato i primi segnali contro chi sarà riconosciuto come troppo vicino ai “sedizionisti” del movimento Verde del 2009, e il loro verdetto darà la misura di quanto reale sarà la contesa elettorale. Certo è comunque che il numero delle candidature è oltre il doppio di quelle di quattro anni fa, e segnala un rinnovato interesse degli iraniani per la competizione politica.

Con i nuovi deputati gli iraniani eleggeranno anche la nuova Assemblea degli esperti: l’organo di 88 membri potrà decidere nei prossimi anni la successione, nel ruolo di Guida suprema, di Ali Khamenei, 76 anni, la massima carica religiosa e politica della Repubblica islamica. Il grande manovratore della politica iraniana, l’ex presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, ha lanciato un sasso nello stagno, riaprendo il dibattito sulla possibilità di un collegio al posto di un singolo come Guida, e di un controllo degli Esperti sulla sua attività.

Il tema non è un dettaglio, perché riguarda il principio fondante di quel singolare ibrido tra democrazia e teocrazia nato dalla rivoluzione del 1979, ma per ora resta sullo sfondo, nel rispetto della Guida in carica. Intanto alla nuova Assemblea si sono candidati non solo gli stessi Rohani e Rafsanjani, ma anche Hassan Khomeini, nipote del fondatore della Repubblica islamica, che porta in dote il prestigio di un nome ma anche una nota vicinanza ai riformisti.

Il voto di febbraio sarà la nuova arena dello scontro tra forze riformatrici e ultraconservatrici nella Repubblica islamica: un sistema che, nonostante l’accesa dialettica interna, può comunque vantare – nell’epoca dell’Isis e di una instabilità diffusa in tutto il Medio Oriente – di essere l’unico Paese stabile della regione. Rispetto alla quale l’Iran si è visto riconosciuto, dopo l’accordo sul nucleare, anche un ruolo di attore sui tavoli della diplomazia internazionale. Gli ultraconservatori – fra cui le potenti Guardie della rivoluzione ed i sostenitori dell’ex presidente Mahmud Ahmadinejad – hanno osteggiato fino all’ultimo quell’accordo, pur sostenuto e circonstanziatamente avallato anche da Khamenei. E tengono in vita l’anti-americanismo che ritualmente echeggia negli slogan di ogni organizzata manifestazione di piazza. Ma, soprattutto, gli ultraconservatori continuano a tenere in scacco il governo Rohani e il suo programma riformatore, in un gioco di veti dove ha un ruolo di grande peso la magistratura.