La Corte dell'Aja sfida il Myanmar

La Corte penale internazionale (Cpi) dell'Aja si è proclamata competente a giudicare sulla “presunta deportazione del popolo Rohingya“, minoranza etnica di religione musulmana che abita le zone occidentali del Myanmar.

Cavillo

Dal 24 agosto dell'anno scorso, quasi un milione di Rohingya sono stati costretti a fuggire in Bangladesh. Ed è questa la chiave di volta della sentenza della corte: il Bangladesh, a differenza del Myanmar, aderisce alla convenzione istitutiva del tribunale. E poiché gli effetti di quella che l'Onu ha ripetutamente definito una “pulizia etnica” si riverberano sul Bangladesh il tribunale sostiene di avere ha poteri di indagine.

Proteste

Dopo una primo momento, nel quale gli esponenti del governo birmano avevano deciso di non commentare la notizia, è arrivata la risposta da parte di Naypydaw, che ha respinto “risolutamente” la sentenza della Cpi. “Si tratta di una decisione che è dubbia dal punto di vista legale” ha precisato un portavoce dell'esecutivo. “Non avendo aderito alla convenzione non abbiamo l'obbligo di rispettare le decisioni della Corte dell'Aja”. 

Cacciati

Fra la fine di agosto e il settembre dell'anno scorso, secondo Medici senza Frontiere, almeno 6.700 Rohingya sono stati uccisi dai militari. A fine agosto, l'Onu aveva chiesto l'incriminazione dei vertici dell'esercito birmano mentre l'alto commissario per i diritti umani , Zeid Raad al Hussein, aveva chiesto alla leader di fatto di Myanmar Aung San Suu Kiy (premio Nobel per la pace) di dimettersi dall'incarico di 'consigliere di stato'.