Donne dell'Isis alla sbarra: “Nessuna pietà”

Dieci minuti d'udienza, talvolta meno, e poi via lungo il loro personale “miglio verde“. Nessun avvocato, nessun rappresentante dei propri Paesi d'orgine. Ad accompagnarli solo i loro bambini, figli di una promessa o di uno stupro, a seconda dei casi. Eredi senza patria del regno del terrore di Abu Bakr al-Baghdadi, califfo supremo del sedicente Stato islamico.

Processi sommari

Un terra promessa, un paradiso terrestre da costruire sul sangue dei “crociati” occidentali. “Venite e vedrete” dicevano loro. Poi la realtà: morte, guerra e sopraffazione. A seguire la cattura e il giudizio sommario da parte delle autorità irachene, svolto seguendo una sola regola procedurale: nessuna pietà. Per le “donne dell'Isis“, le mille straniere arruolatesi nel Califfato che in questi giorni sono alla sbarra davanti alla Corte penale di Baghdad, il destino è già segnato: la morte per impiccagione o l'ergastolo. Quaranta sono state già condannate al patibolo all'esito di udienze durate meno di un quarto d'ora. Alle imputate non viene chiesta alcuna spiegazione. Per i magistrati il quadro probatorio si basa su un solo elemento: se hanno abbandonato il proprio Paese per sposare la causa jihadista vuol dire che volevano farlo. Poco importa se quelle donne magari non hanno mai combattuto o se sono state ingannate e cadute nella trappola dalla rete di propaganda islamista. Non c'è colpa, non c'è circonvenzione, non esiste lavaggio del cervello: c'è solo dolo.  

La testimonianza

Tra quelle in attesa di condanna c'è anche Djamila Boutoutao, 29enne francese. “Sto impazzendo qui”, ha dichiarato al Guardian. “Affronto una condanna a morte o all'ergastolo e nessuno mi dice niente: non l'ambasciatore, non le persone in prigione”. Era arrivata in Iraq nel 2014 con il marito e due figli. Ora è rimasta solo lei con la piccola figlia. “Vi prego non fatemela portare via: chiamate i miei genitori e provvederanno loro a lei”, ha scongiurato le guardie più volte.

Il dramma dei bambini

Il dramma riguarda infatti anche 820 bambini, apolidi e disprezzati dalla popolazione irachena, senza un futuro certo. Secondo alcune stime, negli ultimi 4 anni almeno 5mila donne avrebbero dato alla luce figli in Stati nei quali, anche in tempi normali, non sarebbero in grado di offrire tutele adeguate. Numerose organizzazioni internazionali si stanno muovendo per calcolare il numero esatto degli orfani e delle vedove dell'Isis. “Qui nessuno si occuperà di loro, non li toccheranno nemmeno – ha raccontato al quotidiano britannico Ahmed al-Raqqawi, combattente anti Daesh – sono stati cresciuti facendogli credere di essere dei re”. Ora si ritrovano soli, con la prospettiva di restare senza la propria mamma.

Indifferenza

I governi dei Paesi d'origine delle donne, del resto, continuano a mostrarsi ostili nei confronti delle loro concittadine finite davanti alla giustizia irachena per crimini di natura terroristica, sostenendo che vadano processate direttamente in loco. La Francia, ad esempio, se da una parte non ha respinto quante sono riuscite a fare ritorno in patria (dove saranno comunque processate), dall'altra non sta aiutando a riportare idietro chi non ha avuto modo di lasciare l'Iraq. Maggiore clemenza è stata, tuttavia, riservata ai bambini. 

Destino di morte

Così la macchina della giustizia di Baghdad continua a fare il suo corso. I giudici locali si sono sobbarcati la responsabilità di dare nel più breve tempo possibile una risposta alla popolazione, stremata dalla guerra lanciata dall'Isis a partire dal 2014. Il capitolo terrorismo, in un Paese che dal 2003 non conosce pace, va chiuso subito. Regola implicità che diventa il presupposto della sommarietà dei giudizi. Pochissime sono le assoluzioni. Una donna, pochi giorni fa, si è salvata dal patibolo grazie alla testimonianza del fratello che ha confessato di averla costretta ad arruolarsi. Episodi marginali. Di fatto per le ex jihadiste le speranza di non finire davanti al boia (o in cella per tutta la vita) sono pochissime. E in ogni caso, fuori dalle aule di giustizia, quale futuro le attenderebbe? “Siano dannati – ringhia Mustafa Rashid, autorivenditore della capitale, a proposito dei foreign fighter – non meritano pietà, nemmeno le donne”.