Moavero sbrigati o perdiamo la Libia

La Francia compie ulteriori passi in avanti nel processo di stabilizzazione della Libia. La Conferenza svoltasi a Parigi lo scorso martedì 29 maggio ha visto come protagonista assoluto ed annunciato il presidente Emmanuel Macron, molto attento, fin dall’inizio del suo mandato, nel farsi portavoce di una pacifica transazione politica  del Paese nordafricano. I media francesi hanno celebrato l’intraprendenza ed i risultati raggiunti da Parigi, riportando a chiare lettere quello che è stato definito il risultato più importante dell’ultimo meeting: un protocollo d’intesa, una sorta di accordo informale per una data utile per il voto in tutto il Paese, individuata intorno al 10 dicembre prossimo, stando a quanto riportato tramite Twitter da Taher el Sonni, Alto Consigliere del Premier libico designato dall’Onu, Fayez Serraj.

Il merito della Francia è stato quello di riuscire a riunire intorno ad un tavolo le due principali espressioni politico-militari di un Paese devastato da un conflitto fratricida che perdura senza soste dal 2011: erano, infatti, presenti non soltanto Serraj, ma anche la controparte rappresentata dal generale Khalifa Haftar, massimo rappresentante del centro di potere arroccatosi a Bengasi, sulla costa orientale libica, ed antagonista del processo di pacificazione portato avanti dalle Nazioni Unite.

Il ruolo di intermediazione giocato da Parigi non può passare inosservato: la stabilizzazione della Libia (e, più in generale, le sue sorti) sembra essere un dossier molto caro agli apparati d’Oltralpe. Essere riusciti a far rilasciare una dichiarazione congiunta ad entrambe le parti non è cosa da poco, considerando il tentativo, sempre francese, fallito, del luglio scorso. Nonostante ciò, l’evento recente non ha motivo di essere sovrastimato: come ribadito da diversi analisti, difficilmente l’accordo potrà realizzarsi effettivamente nella pratica. Al tavolo delle trattative erano deliberatamente assenti gli esponenti di diverse potenti forze paramilitari operanti sul suolo libico, tra cui il Consiglio Militare di Misurata, e di altri punti nevralgici della Tripolitania, mentre le condizioni di pubblica sicurezza nel Paese (nonché lo stato delle strutture) sono al minimo e neanche lontanamente ad un livello sufficientemente accettabile al fine di consentire un pacifico e regolare svolgimento delle pubbliche elezioni. Da un punto di vista strettamente pratico, l’incontro, probabilmente, non condurrà a risultati concreti nel breve periodo, sono ancora troppe le incognite che contraddistinguono lo scacchiere libico. Un dato appare, però, chiarissimo: la Francia si propone come protagonista indiscussa non solo del processo di normalizzazione, ma anche come unica beneficiaria dei futuri benefits di una Libia finalmente stabile e, per quanto possibile, “democraticizzata”.

In questo senso, preoccupa non poco la forte regressione dell’influenza italiana nell’area mediterranea. A presenziare alla Conferenza di Parigi il solo ambasciatore della Repubblica, Teresa Castaldo, vista e considerata la temporanea assenza di un esecutivo e di una figura chiave alla Farnesina. In altre parole, le querelle durata 88 giorni in merito alla composizione della nuova maggioranza (compresi i dubbi del Capo dello Stato riguardo ai nomi proposti per il Ministero dell’Economia dalla coalizione giallo-verde) potrebbero costare carissimo alle ambizioni strategiche dell’Italia all’interno del discorso mediterraneo, un’area su cui verrà giocata una partita decisiva nel prossimo futuro in chiave anti-migratoria ed anti-terroristica. I confini strategici dell’Europa mediterranea, infatti, si sono spostati proprio in virtù della nuova “zona d’ombra” rappresentata dallo spazio libico, al momento terra di nessuno: dalle coste dell’Africa settentrionale, fino ai margini dell’Africa sub-sahariana (zona di smistamento di gran parte dei migranti che arrivano sulle nostre coste passando per quelle libiche), un’area dove la Francia si dimostra, al contrario di Roma, presente, determinata ed operativa, con delle strategie precise volte a ristabilire la FrançAfrique, il suo spazio di influenza culturale su Sahel ed Africa nord-occidentale. In questa ottica di “pareggiamento di forze” può essere spiegato anche il flebile tentativo del governo Gentiloni nell’inviare in Niger delle truppe di supporto a quelle francesi; ancora tuttora la missione sembra essere in una fase di stallo dopo le incomprensioni palesate dal governo di Niamey nel gennaio scorso.

Le mire francesi sulla Libia sono cosa nota fino dal lontano e nefasto 2011: non è un mistero che la virulenta rimozione del Colonnello Gheddafi venne messa in atto su ispirazione dell’allora presidente francese Sarkozy. Parigi, all’epoca, sembrò non riuscire proprio ad accettare il dominio consolidato (in termini di volume d’affari) della nostra Eni che, con i suoi 267.000 barili processati al giorno, nel 2010 dominava incontrastata una parte cospicua dell’estrazione sulla costa libica, che all’epoca costituiva il 2% dell’intero quantitativo estratto a livello mondiale. Gli obiettivi francesi di sette anni fa sono stati raggiunti: la stabilità politica della Libia è stata stravolta, la sua situazione economica completamente resettata, le attività estrattive messe in fase di stallo. Macron ha, adesso, la possibilità di chiudere il cerchio: normalizzare il Paese, ergersi ad intermediario decisivo e strappare al futuro governo libico le licenze necessarie per sfruttare i principali centri di attività estrattiva dalle mani dell’Eni in favore della francese Total, la quale sta già investendo cospicue risorse nello scandagliamento di nuove aree di estrazione al largo del golfo di Sirte e della Cirenaica.

Mentre l’opinione pubblica italiana era immersa nel dibattito su sovranità, spread, articolo 92, Europa ed Italexit, il nostro interesse nazionale è stato nuovamente leso dall’ennesima negligenza istituzionale e per mano (è doveroso rimarcarlo) di un Paese comunque “alleato” nella Nato e nell’Ue, a riprova del fatto che il concreto interesse nazionale è ancora prevedibilmente anteposto ai “nebulosi” principi comunitari, difesi solo sulla carta ed a seconda delle contingenze. Il neo Ministro degli Affari Esteri, Moavero Milanesi, avrà da lavorare non poco nei prossimi mesi per riportare l’Italia al centro del dibattito sul futuro della Libia per due motivi principali: difendere i nostri interessi commerciali, nonché sicurezza lungo i nostri friabilissimi confini meridionali.