Bambina violentata, i giudici tunisini sospendono l’autorizzazione al matrimonio riparatore

I giudici tunisini, a seguito delle proteste delle associazioni a tutela dei diritti delle donne e della presa di posizione ufficiale del ministero tunisino della Donna, hanno deciso di sospendere per il momento l’autorizzazione del tribunale del Kef al matrimonio di una 13enne incinta con il suo violentatore, un cugino di 21 anni.

La decisione è stata presa in base alle disposizioni derivanti dall’art. 227 bis del codice penale tunisino che dispone che “il matrimonio dell’autore della violenza sessuale con la vittima dello stesso annulla il reato o gli effetti della condanna”. Lo ha affermato il ministro della Giustizia di Tunisi, Ghazi Jribi, alla radio locale Mosaique Fm. Il caso ha suscitato un’ondata di sdegno nel Paese con manifestazioni ieri davanti al Tribunale del Kef e al parlamento del Bardo oltre che un acceso dibattito sui media.

I giudici hanno difeso la loro decisione affermando che la giovane “ha 13 anni e 11 mesi e non si può dire che tecnicamente sia stata violentata. Abbiamo ritenuto che a quell’età, considerata la sua maturità, la ragazza sia adatta al matrimonio. La prova sta nel fatto che sia rimasta incinta. L’uomo è suo cugino e le due famiglie hanno chiesto le nozze per evitare uno scandalo. Abbiamo emesso la sentenza il primo dicembre e stipulato il contratto matrimoniale il 5. Tutte le parti erano consenzienti”, ha dichiarato ai media il portavoce del tribunale, Chokri Mejri.

Le associazioni a tutela dei diritti delle donne e a protezione dell’infanzia hanno promesso battaglia e si stanno costituendo parte civile contro la sentenza del tribunale del Kef chiedendo una sua revisione, ma soprattutto l’accelerazione dell’iter di approvazione della legge contro la violenza e i maltrattamenti sulle donne e per la parità di genere da lungo tempo in attesa di essere discussa e votata in Parlamento.

Il matrimonio riparatore come esimente è previsto in diversi Paesi islamici. Recentemente ha fatto discutere la proposta di legge presentata al parlamento turco dall’Akp, il partito del presidente Erdogan, per depenalizzare gli stupri nei casi in cui il violentatore sposi la vittima. Contro il ddl hanno protestato le organizzazioni per la difesa dei diritti umani e le opposizioni. Secondo il governo il provvedimento, poi ritirato, avrebbe interessato circa 3 mila uomini in carcere o sotto processo per stupro.