La Russia candida film all’Oscar ma lo censura in patria

La Russia delle contraddizioni e dei paradossi. Il Paese di Putin ha candidato all’Oscar come miglior film straniero ”Leviathan” del regista Andrei Zviagintsev, premiato anche per la miglior sceneggiatura all’ultimo festival di Cannes. Ma in patria è stato proibito per il linguaggio osceno, vietato da una recente legge sulle opere teatrali, cinematografiche e concerti. La pellicola ha ottenuto il permesso di essere proiettata solo dopo il riconoscimento ottenuto a Cannes, ma in poche sale e con la prescrizione di ”purgare” le parti scurrili. Quando uscirà in tutto il Paese, nei prossimi mesi, il film sarà visto dai russi in una versione rilavorata, quindi non originale.

L’opera di Zviagintsev denuncia il ruolo corrotto e arrogante di uno Stato onnipotente nella Russia di oggi. E’ la storia di Kolia, che vive in una piccola cittadina sul mare di Barents finchè un sindaco non sceglie la sua casa e il suo terreno per un progetto immobiliare. Ma lui si difenderà in tribunale, sollevando le ire delle autorità. ”Un film talentuoso ma che non mi è piaciuto”, è stato il commento del ministro della cultura Vladimir Medinski, secondo quanto ha riferito il regista stesso.

Nei giorni scorsi Andrei Konchalovski, il regista russo Leone d’argento all’ultima Mostra di Venezia con ”Le notti bianche di un postino”, aveva chiesto di non presentare il suo film come candidato al Premio Oscar. Il cineasta, fratello di Nikita Mikhalkov, aveva spiegato le sue ragioni in una lettera aperta al presidente della commissione russa per il premio Oscar, Vladimir Menshov. Il primo motivo si richiama alla coerenza, avendo lui più volte criticato l’ ”Hollywoodizzazione” del mercato cinematografico russo e denunciato l’influenza negativa del cinema commerciale americano sulla formazione dei gusti e delle preferenze degli spettatori russi. Il secondo è che ritiene ”assurda” la categoria dell’Oscar per il miglior film straniero, definendola ”una segregazione del cinema mondiale dal mondo anglofono, il che a suo giudizio rappresenta l’idea già superata del dominio culturale dell’Occidente.