Il magistrato: “Il killer non doveva essere libero”

Non doveva succedere ma purtroppo qualcosa è successo”. Non sarebbe dovuto essere libero Said Mechaquat, il killer di Stefano Leo, ucciso ai Murazzi con una coltellata alla gola. A rivelarlo è stato il presidente della Corte d'Appello, Edoardo Barelli Innocenti, il quale ha tentato di spiegare perché quell'uomo, nonostante fosse stato condannato a un anno e sei mesi di reclusione per maltrattamenti in famiglia (con sentenza in via definitiva), girasse a piede libero, esattamente come quella mattina in cui, con un coltello acquistato poco prima, colpì a morte il ragazzo sulle rive del Po, dopo averlo scelto a caso “per la sua aria felice”. Il magistrato riconosce la grava mancanza ma chiede di non scrivere “che la colpa è solo dei magistrati. Non è neanche giusto distinguere tra magistrati e cancelleria, ma la massa di lavoro da smaltire è tale che il ministero della Giustizia dovrebbe provvedere ad assumere cancellieri e assistenti perché è quello di cui abbiamo bisogno”.

Fascicoli accumulati

Barelli, dopo aver fatto le proprie condoglianze alla famiglia di Stefano Leo, spiega come vi sia stato un “problema nell’esecuzione, la cui responsabilità non è dei magistrati. Il sistema è malato. Sono qui a dire che ce la metteremo tutta affinché non possa più accadere una cosa simile, anche se non posso nemmeno garantirlo”. In sostanza, nonostante il rispetto dei tempi del procedimento da parte dei magistrati, la data prevista della notifica la 9 maggio all'ufficio esecuzioni della Procura ha fatto i conti con circa mille fascicoli di arretrati e con la carenza del personale, al quale era stata peraltro data la direttiva di procedere dando la precedenza ai dossier con condanne superiori a tre anni: “Ci sono 965 fascicoli già sentenziati tra 2016 e 2017 che sono ancora da eseguire solo in quella sezione. Diecimila invece sono quelle dalla metà del 2017 in poi”.

Il presidente annuncia che verrà svolta “un'indagine interna amministrativa” e che, come rappresentante dello Stato, si sente in dovere di “chiedere scusa alla famiglia ma vorrei che si comprendesse che non c’è nessuna certezza che il 23 febbraio Said Mechaquat non dovesse essere in carcere. Anche in sede esecutiva ogni sei mesi ci sono 45 giorni di beneficio. E se anche l'imputato entra in carcere può avere misure alternative”.