Villa Imoletta Farm, la fattoria sociale che unisce la comunità

L'intervista di Interris.it a Tullio Monini, fondatore di Villa Imoletta, in merito alla nuova esperienza della fattoria sociale per le persone con disabilità

L’inclusione delle persone con disabilità nella società passa, anche e soprattutto, attraverso delle attività innovative che siano in grado di mettere al centro la persona e l’espressione delle rispettive attitudini rimuovendo gli ostacoli che ne impediscono la concreta realizzazione.

L’esperienza di “Villa Imoletta”

Negli anni 70, a Ferrara, l’Ingegner Serafino Monini e la moglie Caterina Indelli hanno acquistato una villa rinascimentale con annesso terreno, con l’obiettivo di creare un’azienda agricola che offra un avvenire lavorativoCarlo, il figlio con disabilità che, purtroppo, morirà poco dopo. Oggi però, i tre fratelli di Carlo, stanno proseguendo l’opera di inclusione per tutte le persone con disabilità della provincia di Ferrara e recentemente, valorizzando la vocazione contadina del territorio, stanno cercando degli sbocchi nel settore, in sinergia con la filiera floro-orto-vivaistica e con l’obiettivo di dar vita ad un inedito esempio di inclusione lavorativa e sociale, creando “Imoletta Farm”. Interris.it, in merito a questa esperienza, ha intervistato Tullio Monini, fratello del compianto Carlo nonché uno dei fautori dell’iniziativa.

L’intervista

Come nasce e che obiettivi ha la fattoria sociale “Imoletta”?

“Faccio due premesse. La dimensione agricola della fattoria sociale rappresenta solamente una parte del progetto, mentre l’altra è relativa all’accoglienza delle famiglie e dei bambini. In particolare, la dimensione a cui teniamo molto, è la sperimentazione da parte dei ragazzi in ruoli e attività diverse. Naturalmente, per alcuni, le attività agricole, possono essere interessanti e anche adatte, ma per altri assolutamente no. Una delle caratteristiche di “Villa Imoletta” è quella di garantire sempre un certo ventaglio di proposte diverse in cui, la relazione con il verde, con l’agricoltura e con la fattoria sociale è molto importante, però è solo una componente. Inoltre, tutto ciò che proponiamo ai ragazzi non è per sempre, ma l’idea è che, il passaggio da qui, sia una tappa di un percorso di crescita dopo la conclusione dell’esperienza scolastica. In altre parole, “Imoletta” intende essere una specie di accademia, dove, a seconda delle situazioni, invece del vuoto che si apre per le persone con disabilità e per le loro famiglie dopo il termine della scuola superiore. Il nostro obiettivo è quello di diventare una palestra per un successivo Progetto di Vita e, conseguentemente, sviluppare le loro esperienze ed attitudini. Su questo versante, la fattoria didattica e l’agricoltura possono dare molto. La relazione con la natura ha una valenza potente e in genere non viene adeguatamente sfruttata. La nostra azione su questo versante nasce dall’esperienza di Andrea Canevaro che, dopo la guerra in Bosnia negli anni ’94 e 95, seguiva dei particolari progetti per i ragazzi che avevano subito dei traumi dall’esperienza bellica facendoli lavorare negli orti. Questo perché, si era riscontrato che, il ciclo naturale delle piante, era in grado di far ritrovare l’armonia alle persone in situazione di trauma. Naturalmente, la fattoria didattica, richiama anche l’allevamento e la cura degli animali, oltre alla possibilità di produrre alcuni prodotti. Però, l’elemento su cui stiamo focalizzando maggiormente l’attenzione e che, nell’anno che verrà, pensiamo di realizzare, è “l’ospedale delle piante” dove, in qualche modo, ci si prenderà cura delle specie vegetali le quali, per diversi motivi, sarebbero scartate o non entrerebbero in produzione. Questo potrà avere importanti riflessi sulla crescita individuale delle persone coinvolte”.

Quali sono i suoi auspici per lo sviluppo del progetto? In che modo, chi lo desidera, può aiutare la vostra azione?

“In questo momento a “Villa Imoletta” abbiamo due laboratori, uno di percussione e di musica e l’altro di panificazione che raggruppa dieci persone, prevalentemente con disabilità cognitiva e alcuni con disabilità sensoriale. In particolare, per il futuro, attraverso la coltivazione di grani antichi, il nostro progetto vorrebbe prevedere la costruzione di un forno esterno dove panificare per le nostre famiglie a partire dalla farina che noi stessi produciamo nella fattoria sociale. I ragazzi coinvolti nel progetto hanno un’età fra i 16 e i 24 anni e una disabilità medio grave che cerchiamo di tenere collegati al mondo del lavoro perché, anche quello, rappresenta una importante esperienza formativa”.