Una tregua fragile: nel Tigray tensioni e violenza a spese dei civili

Il conflitto nella regione settentrionale dell'Etiopia sarebbe cessato ma l'incubo della violenza continua a minare la stabilità del territorio intero: servono azioni concrete

Tigray

Nonostante il primo ministro della Repubblica Federale Democratica d’Etiopia Abiy Ahmed abbia annunciato nello scorso dicembre la vittoria correlata alla fine delle ostilità nei confronti del Tigray People’s Liberation Front, le ostilità continuano sotto traccia e allo stato attuale ciò ha causato migliaia di sfollati, oltre 58 mila rifugiati nel solo Sudan e migliaia di vittime tra la popolazione civile inerme.

Civili e rifugiati, un dramma nel dramma

Tanto premesso, a riprova di questo clima di grande tensione e violenza nel paese, pochi giorni fa è stato ucciso in circostanze poco chiare l’ex ministro degli esteri etiope Seyoum Mesfin. Il quale, insieme al suo omologo eritreo Haile Woldetensae deceduto due anni fa nelle carceri di Asmara, il 12 e il 13 dicembre del 2000 – sotto l’egida dell’Organizzazione dell’Unità Africana – sottoscrisse gli Accordi di Algeri che portarono la pace tra Etiopia ed Eritrea dopo due anni di conflitto armato oltremodo cruento nel quale vi furono oltre 40.000 vittime.

Purtroppo, allo stato attuale, la situazione di maggior gravità è quella della popolazione civile e dei rifugiati etiopi nella regione del Tigray, a titolo esemplificativo si pensi che – dopo un notevole sforzo diplomatico – nei giorni scorsi esponenti dello U.N.H.C.R. – United Nations High Commissioner for Refugees ossia l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati – sono riusciti ad accedere alla sopracitata regione e contestualmente hanno prestato assistenza a oltre 25.000 rifugiati in due campi profughi distinti in cui è stata riattivata la rete idrica e l’assistenza sanitaria ormai assenti da giorni.

Peacekeeping nel Tigray

In conclusione, alla luce dei fatti precedentemente illustrati, è fondamentale che le istituzioni sovranazionali preposte mandino nel Tigray un contingente internazionale di peacekeeping che permetta il ripristino immediato delle condizioni di sicurezza. E, contestualmente, inviino gli adeguati aiuti umanitari per permettere all’Unhcr di coadiuvare la popolazione civile in difficoltà e migliorare la loro condizione di vita. Questo affinché gli stessi possano vivere con le adeguate risorse alimentari e idriche ma soprattutto con dignità e senza alcun pericolo per la propria incolumità.

Ricordando sempre il fulgido pensiero espresso da Papa Francesco in occasione dell’Invocazione per la Pace nel 2014: “Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; si al dialogo e no alla violenza; si al negoziato e no alle ostilità; si al rispetto dei patti e no alle provocazioni; si alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo”.