La vita dei palestinesi: il racconto di Lina, assistente sociale di Betlemme

Lina Raheel spiega che cosa significa per la Palestina essere occupato da Israele

muro betlemme - lina
A sinistra il muro che divide la Palestina dallo Stato di Istraele. A destra Lina Raheel

Le origini del conflitto tra Israele e Palestina ha radici molto lontane. La Palestina è una terra sacra per gli ebrei, i cristiani e i musulmani. Nel 1948, con la nascita dello Stato di Israele, è iniziata anche la questione palestinese, ovvero la questione di uno Stato autonomo arabo, disperso a quel tempo in enormi campi profughi siriani, giordani e libici, in Cisgiordania, a Gaza e a Gerusalemme Est.

L’intervista

Lo stato Palestinese non ha mai avuto un’esistenza facile e in questi anni ha dovuto convivere con le tante restrizioni decise dallo stato di Israele che nel 2002 ha iniziato a costruire una barriera di separazione in Cisgiordania, lunga 570 chilometri. Questo muro ha un impatto molto forte sulla vita dei palestinesi che anche solo per recarsi al lavoro al di fuori del proprio territorio sono costretti a mettersi in fila ai checkpoint controllati dall’esercito israeliano. Interris.it ne ha parlato con Lina Raheel, cristiana palestinese, nata e cresciuta a Betlemme, dove lavora come assistente sociale all’ospedale pediatrico della città.

Lina, come è la vita di voi palestinesi?

“Noi da molti anni soffriamo a causa di questa occupazione che controlla ossessivamente la vita di ognuno di noi. Noi non possiamo muoverci liberamene e  questo rende la nostra esistenza  sotto controllo di qualcuno. Nascere e vivere in questa terra non è facile per nessuno di noi e chiediamo solo di poter avere la libertà che chiunque nel mondo merita”.

Che tipo di restrizioni avete?

“Sono delle limitazioni che invadono e limitano pesantemente la nostra quotidianità. Gerusalemme dista da noi meno di 10 km, ma se per esempio vogliamo recarci al Santo Sepolcro dobbiamo mostrare al check-point il permesso di entrata. Stessa cosa vale se dobbiamo prendere un aereo, non possiamo né partire, né arrivare a Tel Aviv, ma dobbiamo recarci ad Amman, in Giordania e passare tre frontiere”. 

Questa condizione rende molto difficile la vita anche dei giovani. Che futuro hanno?

“Io ho tre figli, ora sono cresciuti, ma quando erano ragazzini temevo molto per loro e avevo paura girassero per Betlemme da soli, perché non era una città sicura e capitava spesso che soldati israeliani fermassero e arrestassero giovani. Ora sono tutti laureati, ma qui in Palestina le opportunità di lavoro sono molto limitate e dunque, come il resto dei loro coetanei, stanno provando a lasciare il Paese alla ricerca di una vita libera e dignitosa”.

Lina, che cosa è accaduto il 7 ottobre?

“Qualcosa che non pensavamo potesse succedere. Entrambe le parti hanno esagerato e hanno dato libero sfogo alla rabbia e all’odio, distruggendo la vita di molti innocenti. Credo che questi sentimenti negativi fossero da molto tempo nel cuore di palestinesi e di israeliani e quel sabato si sono manifestati nella loro brutalità”. 

Pensi arriverà mai la tanto attesa pace?

“Certo perché nella vita nulla è impossibile, ma solo se tutti davvero la vogliono e credono possa concretizzarsi. Dopo tutto quello che è accaduto, in quasi un mese di conflitto, non so che cosa accadrà, ma una cosa è certa, finché in Palestina ci sarà questa occupazione noi non potremmo mai avere una vita dignitosa, come invece ogni essere vivente merita”.