Oltre un milione di bambini resta fuori dagli asili nido

L'Italia non è un paese che tratta bene i suoi bambini, specie se piccolissimi. Oltre al calo demografico che ha portato i nuovi nati sotto il mezzo milione dal 2015 in poi, c'è anche il problema che negli asili nido non c'è posto per tutti. Anzi, ne restano fuori un milione e 171mila circa (1,3 se contiamo tutti i servizi socio-educativi per l'infanzia). Questo quadro desolante lo ha dipinto l'Istituto nazionale di Statistica, Istat. Gli investimenti nel settore non sono sufficienti per portare il nostro paese ai parametri richiesti dall'Unione europea, e il divario non è solo fra l'Italia e l'estero ma anche tra il Nord e il Sud della Penisola, persino tra la città e la provincia. Così il settore pubblico s'indebolisce e cresce, anche se non di molto, quello privato. I comuni risparmiano, ma i loro servizi arretrano. A sopportare tutto questo peso sulle proprie spalle sono le donne. La quota rosa è quella più rappresentata nel settore, ma oltre la metà delle lavoratrici ha più di 40 anni e lamenta dolori alla schiena. Senza un avvicendamento con nuove assunzioni e un rinnovo del contratto collettivo nazionale, fa sapere Funzione pubblica Cgil nazionale, le condizioni di lavoro sono destinate a peggiorare. E con il loro il servizio, a danno dei più innocenti e indifesi.

Gli esclusi

C'è un'emergenza nel paese: troppi bambini non vanno all'asilo nido. In base ai dati 2016 raccolti dall'Istat, sul territorio italiano ci sono 1.492.020 bambini e bambine nella fascia d'età tra i zero e i tre anni per circa 354mila posti nei servizi educativi per l'infanzia in 13.147 strutture, 320.286 negli asili nido che corrispondo a 11.017 “nidi”. Anche la persona più distratta e meno versata in matematica vede ad occhio che ne restano fuori quasi due milioni (1,71 milioni). Se già siamo un paese con molti disoccupati, specie tra le donne giovani, e in calo demografico, questi numeri – frutto di scelta genitoriali, del calo dell'offerta di servizi pubblici e dei costi più alti delle strutture private, scrive Fp Cgil – sono un forte disincentivo all'occupazione e alla natalità. Quale giovane donna cercherà un lavoro e vorrà fare una famiglia, se c'è il rischio che una cosa escluda l'altra? In Italia, se lavori, è molto difficile occuparsi dei figli, ancora di più se il servizio preposto non c'è (quasi) più.

Le differenze

Come in altri ambiti, anche in quello dei servizi socio-educativi per i più piccoli l'Italia non rispetta i parametri europei. Nel 2000 il Consiglio europeo aveva stabilito che entro il 2010 andava fornita quest'assistenza almeno al 33% dei bambini al di sotto dei tre anni. La media italiana è di nove punti percentuali sotto, ferma al 24%. Nel Nord Italia in realtà si 'sfora' verso l'alto, con l'esempio della Valle d'Aosta che copre un bacino d'utenza del 44,7%. Per poi precipitare al 7,6% della Campania. L'ampia forbice che separa l'Italia settentrionale e quella meridionale si osserva anche dal punto di vista dei conti. Ci sono due tipi di gestione degli asili nido. Quella diretta, da parte dei Comuni, e quella indiretta, dove il servizio è appaltato ai privati (che sono arrivati a sfiorare quasi la metà nel settore, il 48%). La prima è diminuita tra il 2012 e il 2016, passando da 1,6 miliardi di euro a 1,475, mentre è aumentata dal 17 al 20% tra il 2004 e il 2014 la compartecipazione delle famiglie alle spese di gestione. La differenza di costi a carico dei Comuni è notevole, la gestione diretta è una voce che pesa 8.798 euro all'anno per ogni bambino, con il passaggio a quella indiretta si abbatte il costo fino 4.480. Anche qui, il tasto dolente è appunto la differenza Nord-Sud: in Trentino la spesa pubblica media annua per un utente è di 2.209 euro, in Calabria 88 euro per ogni bambino. La necessità degli enti pubblici di risparmiare risorse ha certamente dato un mano ai nidi privati, che hanno acquisito quasi tremila nuovi iscritti in più fronte al calo di 6.500 iscrizioni negli asili a gestione diretta, passate dalle 99.700 del 2012 alle 93.200 di anni quattro anni dopo.

Chi ci lavora

Nel settore socio-educativo per l'infanzia lavoravano pressoché solo donne. Secondo Fp Cgil le lavoratrici sono 181.170, i lavoratori maschi duemila. Un dato da non sottovalutare è che il 68% di queste ha più di quarant'anni e deve passare molte ore a contatto con i bambini, tenendoli in braccio o chinandosi per prenderli, più volte al giorno. Una serie di sforzi ripetuti e costanti, che si fanno sentire sullo stato di salute. Molte infatti lamentano dolori fisici alla schiena per questi movimenti e piegamenti. La ricetta di Fp Cgil per migliorare e ampliare il servizio contiene anche e soprattutto l'ingrediente lavoro: vanno assunti 20mila nuovi docenti, giovani, da formare e professionalizzare, senza non limitarsi a un semplice turnover riempitivo. Ma per farlo serve il rinnovo del contratto nazionale di categoria.