Il progetto LifeDream è stato fortemente voluto con un approccio innovativo in una cornice di sostenibilità ambientale. Si tratta di un programma, finanziato dai fondi europei del programma Life+, che, con azioni di protezione, di recupero, di conservazione e servendosi di alcune strutture artificiali ed innovative, agevola la crescita delle specie marine, permettendo la rigenerazione della barriera corallina. Capofila del progetto è ISMAR- CNR (Istituto di Scienze Marine), che svolge attività di ricerca fondamentale e applicata in oceanografia fisica, chimica e biologica e in geologia marina.
Tra i partner del programma alcuni istituti di ricerca e associazioni dell’Italia, della Spagna e della Grecia. Tra loro si annovera anche NetEC (Net European Consulting), agenzia di consulenza che ha a cuore l’attività della pesca e dell’acquacoltura e promuove attività di ripristino del patrimonio inestimabile offerto dalla biodiversità. Interris.it ha intervistato Stefania Valentini, cofondatrice di NetEC che ha spiegato il progetto e la sua importanza.
Stefania, cosa prevede LifeDream?
“Si tratta di un ambizioso piano, che attraverso attività mirate, rafforza e promuove le buone pratiche in ambito di sostenibilità ambientale. Nel farlo combina negli ecosistemi di acque profonde, metodi già testati e dimostrati efficaci in altre tipologie di ambienti. In alcune marinerie in Italia, in Spagna e in Grecia sono state stabilite delle misure di gestione curative e preventive per un approccio sostenibile verso gli ecosistemi sensibili e vulnerabili delle profondità marine”.
Perché le barriere coralline sono importanti?
“Si tratta di ambienti da preservare in quanto indispensabili per la loro capacità di fungere da pozzi di CO2 e di attrarre una fauna altamente diversificata. Questi habitat sono fortemente minacciati da molteplici fattori che ne determinano la perdita delle più importanti funzioni ecologiche associate”.
Quali sono?
“Tra le cause vi è il cambiamento climatico, una pesca non selettiva e sostenibile e il continuo aumento dei rifiuti gettati in mare, in particolare modo le plastiche, che ad oggi non si riesce ancora a quantificare in modo preciso. A tal proposito, in via sperimentale nelle marinerie di Ischia, di Molfetta e di Bari è prevista l’istallazione di un macchinario tecnologicamente avanzato capace di riciclare le plastiche che si depositano nei fondali marini”.
Da dove arrivano queste plastiche?
“La maggior parte di esse da terra e dalle discariche. Il problema nasce dalle foci dei fiumi dove si trovano molti rifiuti che le correnti portano a largo. Si tratta di un fenomeno molto complicato da risolvere perché purtroppo non sempre vi è una corretta gestione dei rifiuti di terra e del loro riciclo. Questa immondizia si deposita nel corso degli anni, e questo spiega perché nei nostri fondali marini ci sono plastiche che hanno più di vent’anni”.
Questo progetto chi coinvolge?
“In primo luogo, i pescatori, soprattutto quelli che svolgono attività di pesca a strascico che saranno impegnati nel recupero della plastiche in mare e che durante la loro attività di pesca recuperano accidentalmente con le proprie reti una quantità di plastica importante che si aggira intorno al 30% del pescato. Fino ad ora quelli coinvolti hanno dimostrato un grande interesse per questa iniziativa. Loro vogliono essere aiutati e a loro volta desiderano collaborare a rendere pulito il mare, che rappresenta una risorsa fondamentale per il loro lavoro e per l’interno ecosistema”.
Che cosa accadrà di questa plastica?
“Verrà riciclata con il prototipo e trasformata in biofuel. Questo carburante pulito verrà consegnato ai pescatori che potranno usarlo per le proprie imbarcazioni e dunque per il proprio lavoro in mare. Si tratta di un gesto di riconoscimento e un’altra buona pratica di sostenibilità economica e sociale verso tutti coloro che accettano di mettersi in gioco per risolvere un problema e ci aiutano attivamente nello svolgimento di questo importante progetto sperimentale”.
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