Smombie: il trionfo dell’indifferenza

Quali sono le origini del fenomeno, le possibili conseguenze e come risolvere il problema

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Lo “smombie” è l’individuo, di ogni età (il fenomeno non coinvolge solo i giovani né ha portata solo nazionale), che cammina senza prestare attenzione poiché il suo sguardo è fisso sullo schermo del telefono cellulare. La sua pericolosità si avverte soprattutto nel momento, in cui, distratto da messaggi o contenuti ritenuti essenziali, rischia la propria e l’altrui vita nell’attraversare la strada. Si tratta di aspetti ed effetti deleteri della dipendenza da telefono cellulare, da web e social.

Il termine deriva dall’unione dei vocaboli inglesi “smartphone” e “zombie”, a significare lo stato di “morto vivente” che cammina guardando, esclusivamente, lo schermo del proprio telefono cellulare, senza curarsi del mondo attorno. Come un automa, lo smombie si aggira per marciapiedi e strade, indifferente al mondo. I pericoli maggiori, per lui stesso e gli altri, si verificano nell’attraversamento delle strade. Non si può parlare, in questo caso, di distrazione momentanea del pedone, tipica dell’era pre smartphone. Anche il camminare su un marciapiede, tuttavia, può determinare dei problemi: una caduta improvvisa, una torsione del piede o lo sbattere contro ostacoli e persone ( spesso fra gli stessi smombie).

La patologia esiste già da diversi anni, ora sembra giunta a livelli diffusi e generalizzati. Il termine ha ricevuto molta risonanza nello scorso mese di ottobre, quando il vocabolario della Treccani ha deciso di inserirlo a pieno titolo. Tale novità ha posto in rilievo, all’opinione pubblica, la realtà e la dannosità del fenomeno ma lo stesso, nonostante l’eco mediatica, non ha conosciuto la riduzione auspicata.

Si tratta, quindi, di un sintomo in forte crescita, facilmente avvistabile nei quartieri; uno degli aspetti più inquietanti della moderna dipendenza da smartphone. In più, tale postura mina il fisico, curva la schiena e incolla sempre più gli occhi allo schermo. I medici hanno evidenziato il forte rischio di scoliosi nonché il disagio arrecato agli occhi (mai liberi di spaziare su orizzonti lunghi e, soprattutto, veri). Ben altra motivazione adduceva lo scrittore, e giornalista inglese. Gilbert Keith Chesterton “Io non sono distratto. È la presenza di Spirito che mi rende ignaro di tutto il resto”.

Don Giulio Dellavite è l’autore del volume “Elogio della normalità” (sottotitolo “Riscoprire il divino nella vita di tutti i giorni”), pubblicato da Mondadori nel marzo scorso. Il sacerdote “torna dunque a parlare di Vangelo, per suggerirci un cambio di prospettiva: ritrovare la straordinarietà dell’ordinario”. Scrive “Si sente spesso dire che non siamo in un’epoca di cambiamento, ma in un cambiamento di epoca. Chi vede negativo, si lascia spaventare dal fantasma dello ‘smombie’, teoria che fonde nel suo nome smartphone e zombie, vedendo sempre più gente che attraversa la normalità catatonicamente anestetizzata. […] Si pretende dagli altri, dalla società, dalla politica, dalla Chiesa, dalla scuola, dal lavoro, quello che poi nel proprio privato non si è disposti minimamente a mettere in gioco. Resta la terza possibilità, quella dell’elogio della normalità”.

La vita dei pedoni è già sottoposta a rischi enormi in tutto il Paese e non è il caso di aumentare il rischio elevato. Le cronache sono drammatiche. Pochi giorni fa, l’ASAP (Associazione Sostenitori Amici Polizia Stradale) ha pubblicato, al link https://www.asaps.it/76834-_osservatorio_pedoni__163_decessi_dal_1_gennaio_all11_giugno_2023_con_105_uomini.html#cookie_ok, i numeri della strage. Si legge di “dati che vedono il decesso sulle strade italiane di ben 185 utenti dal 1° gennaio al 25 giugno 2023. Questo dato è parziale e non tiene conto dei gravi feriti che molto spesso perderanno la vita negli ospedali anche a distanza di mesi. […] Molti pedoni sono stati uccisi nel luogo più sicuro, sulle strisce pedonali dei centri urbani, nonostante sia prevista la perdita di 8 punti dalla patente in caso di mancata precedenza da parte dei conducenti di veicoli. Nel Lazio è una vera strage con 35 decessi, quasi un quinto del totale, di cui ben 20 a Roma. Seguono la Lombardia con 21 decessi, il Veneto con 20 e l’Emilia Romagna con 19 e la Campania con 17. Suddivisi per mese sono avvenuti 53 decessi a gennaio, 36 a febbraio, 31 a marzo, 18 nel mese di aprile, che ha avuto un trend migliore rispetto ai tre mesi precedenti. Sono 21 i decessi accertati a maggio, mentre sono diventati 26 quelli di giugno. Sono morti 118 uomini e 67 donne. Dal report ASAPS gli anziani sono quelli più indifesi, ben 87 pedoni avevano più di 65 anni. Purtroppo 8 pedoni avevano meno di 18 anni, di cui due deceduti ad aprile e uno a giugno”. Nell’ottobre scorso, il sito wired.it, dell’omonima rivista, ha precisato “Una percentuale fra il 12% e il 45% delle vittime di incidenti in strada fra i pedoni è dovuto alla distrazione”.

Il magnetismo dei social e della messaggistica deve essere davvero enorme se conduce la persona a un’inversione di priorità e di accortezze. Quanto prezioso tempo si rischia di perdere, nel rispondere a un messaggio, se la persona si dovesse curare di prestare attenzione per attraversare una strada? Il manager o il giovane non possono distogliere lo sguardo dallo schermo, attendere il turno per attraversare la strada e fermarsi in un angolo del marciapiede per scrivere con tranquillità. Il mondo frenetico e vorace non glielo permette.

Un fenomeno del genere, solo venti anni fa non sarebbe stato immaginabile. Al massimo si notava chi si concentrava troppo a sentir musica o chi, sembrando di parlare da solo, in realtà conversava animatamente al telefono con un’altra persona. Ora lo si tratta con stupore, con un sorriso amaro, quasi arrendevole dinanzi allo strapotere che ha il web nella vita di tutti i giorni, eppure la problematica è davvero inquietante, sia per le motivazioni alla base sia per la pericolosità che si sviluppa.

La tentazione di cedere al richiamo dello schermo può capitare a chiunque, vista l’incidenza dei social o di tutti i servizi (sveglia, memo, video, musica, film ecc.) che il telefono cellulare offre, l’oculatezza sta nell’attendere qualche secondo e porsi in una posizione ferma e non pericolosa. Sembra facile, eppure si contano circa 50 decessi di pedoni avvenuti per questo motivo, solo nel primo semestre dell’anno.

La dipendenza è tale che si verificano situazioni assurde in cui sia gli automobilisti sia i pedoni che circolano per la strada, siano completamente distratti e immersi solo in ciò che leggono, con conseguenze gravissime. Una notifica vale più di una vita. Del resto, il videogioco a cui si sta giocando, che non permette cali di tensione, è il paradigma della vita: se si muore si rinasce, le vite sono tante e l’avventura continua, seppure a un livello inferiore da cui ripartire.

Urtarsi fra smombie, eventualità non remota, è una iattura: non per il colpo o l’incidente in sé quanto per il tempo perso nel non poter utilizzare lo smartphone a causa del fastidioso e dispendioso contrattempo. Si tratta di un problema di ordine pubblico che è sempre più contagioso e presente nella vita quotidiana. Se una volta era quasi un’esclusiva giovanile, ora il coinvolgimento è esteso anche agli adulti. In loro subentra la variabile del tempo, del dover gestire più relazioni sociali (lavorative e non) possibile nell’arco di pochi minuti.

In alcune nazioni (Olanda e Corea del Sud) sono stati attivati dei semafori e dei segnalamenti luminosi, in basso, alla portata degli occhi degli smombie. Non si è andati, tuttavia, alla radice del problema e a impedire, vietandolo, un comportamento così scorretto e pericoloso; si è assecondato il loro atteggiamento, la loro curvatura che, comunque, logora il fisico. Ci si adatta al problema, inseguendolo, senza agire alla base, diretti e decisi.

Negli anni scorsi erano nate anche delle App (a esempio Smombie Guardian), per avvertire, attraverso allarmi sugli ostacoli circostanti, gli irriducibili dipendenti da cellulare. Anche quest’impostazione, tuttavia, sembra assecondare il problema anziché condannarlo. Dinanzi a tale impensabile deriva, occorre un monito forte non un palliativo che incoraggi. Tutto è funzionale: le strade del consumo, le cattedrali del consumismo (i centri commerciali), le insegne adescatrici del commercio compulsivo, le allodole dello spreco, non possono permettersi una diffusione, così ampia, di potenziali clienti distratti che non notano il moderno “paese dei balocchi”.

Lo smombie passeggia ma incontra solo la visione dello schermo, incurante del paesaggio intorno, se gli venisse chiesto non sarebbe neanche in grado di descriverlo. Rappresenta una sorta di indifferenza nei confronti del mondo e della società, che non è racchiusa in quella scatoletta/dispositivo ma è nel prossimo accanto, quello che, per lo smombie, è invisibile. La persona, fisica, che è presente a pochi passi non viene considerata, come se lo smombie vivesse in un deserto, disabitato, dove esiste solo lui. Il suo mondo, la sua socialità è solo all’interno dello schermo che fissa: un altro pianeta con cui è costantemente in contatto. La simbologia è chiara: l’essere umano si piega e china la testa, si arrende a un suo destino vuoto, assente, privo di vita. Non alza gli occhi al cielo o allo sguardo del prossimo: cerca il suo padrone dal basso.