Per spiegare a Interris.it lo stile di papa Francesco il suo confratello gesuita padre Giacomo Costa trae un’immagine dalla geometria. “Un esempio molto chiaro dello stile di Jorge Mario Bergoglio è l’uso del poliedro anziché della sfera. Come modello della realtà. Con tutto quello che questo comporta in termini di salvaguardia della pluralità e delle differenze. All’interno della Chiesa e nel rapporto con la società- sottolinea il segretario speciale del Sinodo dei giovani-. A differenza della sfera, identica da qualunque prospettiva la si guardi, il poliedro ‘riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità’ (Evangelii Gaudium 236). Pur avendo la sua unità, ciascuna faccia mantiene la concretezza della propria individualità. E l’aspetto dell’insieme dipende dal concorso di tutte”.
Le radici spirituali di papa Francesco
“Si possono accostare le figure di Giovanni XXIII e di Francesco. Sia per l’empatia che li avvicina alle persone. Sia per il dinamismo di rinnovamento di cui sono portatori. Segno di una grande libertà interiore radicata nel Vangelo“, puntualizza a Interris.it padre Giacomo Costa. Presidente della Fondazione culturale San Fedele di Milano. Direttore di Aggiornamenti Sociali, il mensile dei gesuiti che, dal 1950, offre approfondimenti e analisi sulla vita sociale, politica ed ecclesiale italiana. E aggiunge padre Costa: “Lo stile di Francesco è forse più fraterno che paterno, soprattutto nel rapportarsi con le altre comunità cristiane, le altre religioni e le persone al di fuori della Chiesa“.
Lo stile pastorale
Ciò, secondo padre Costa, “manifesta un modo diverso di vivere il ruolo di papa“. Questa differenza, puntualizza il gesuita, “dipende dall’indole personale di ciascuno. Dalle esperienze fatte prima di essere eletti al soglio pontificio. Ma segnala anche il mutamento culturale che in questi cinquant’anni ha avuto luogo. Nella società nel suo complesso. E all’interno della Chiesa. Un mutamento a cui ciascuno dei pontefici del post-Concilio ha dato il suo contributo. Dalla rinuncia alla tiara di Paolo VI. Alla proiezione globale dei viaggi di Giovanni Paolo II. Fino al gesto di libertà e profonda spiritualità che sono state le dimissioni di Benedetto XVI.
Liturgia viva
Il Concilio Vaticano II, secondo padre Costa, è stato messo in pratica “più nel Sud America e nelle chiese povere che non in Europa“. È sufficiente “pensare, per esempio, alla liturgia viva. Al senso di comunità. Al ruolo dei catechisti e dei laici. Cose che chi è stato in missione può raccontare. E che chi arriva da lì percepisce immediatamente”. L’Europa, ai loro occhi “appare come un mondo in cui la fede è morta e il Concilio inattuato“. Prosegue padre Costa: “Significativamente Francesco ha iniziato il primo saluto dicendo ‘Buonasera!‘. Come si fa all’inizio di ogni celebrazione in Sud America introducendo la messa.
Devozione vera
Nel suo primo saluto ai fedeli il Pontefice, aggiunge padre Costa, “ha detto che il dovere del Conclave era di eleggere un vescovo per Roma. ‘Sembra che i miei con fratelli cardinali abbiano dovuto andare a prenderlo quasi alla fine del mondo’. Questo background culturale di Bergoglio si proietta sul pontificato. Oltretutto, molti immigrati dal Sud America lo vedono così, come uno che deve restituire la fede e la devozione vera all’ Europa. Francesco porta nel cuore della Chiesa l’esperienza vissuta in un contesto diverso da quello occidentale ed europeo. Quello dell’America Latina e in particolare delle megalopoli del Terzo Mondo e delle loro periferie”.
Il centro
Del resto, secondo padre Costa, “leggendo l’enciclica ‘Laudato si’’ di Francesco appare evidente, anche nello stile, come non sia scritta da un europeo e questo chiede a noi di fare una certa fatica. Stessa cosa quando si guarda al Giubileo: la prima Porta santa è stata aperta a Bangui e non a Roma”. Precisa il gesuita. “Non ci siamo abituati, ma Jorge Mario Bergoglio aiuta a ricordare che non siamo noi il centro”. Una scossa salutare. Perché una prospettiva diversa consente di uscire da alcune strettoie del pensiero occidentale. E costituisce anche un arricchimento“.
Circolo virtuoso
“E’ l’esperienza realizzata già in tanti Paesi europei. Riconoscersi co-discepoli con altri non europei che abitano con noi e vivono la fede. E celebrano in un modo che interroga e risveglia, magari un po’ più ‘devoto’ di quanto siamo abituati“, spiega a Interris.it il direttore di Aggiornamenti Sociali che l’ha vissuto personalmente nei suoi anni nelle periferie di Parigi. E anche il Papa “è stato sorpreso a sua volta dal modo africano di celebrare. È un circolo virtuoso in cui nessuno è maestro. E quanto più il tempo passa, tanto più il riferimento vitale al Concilio è chiamato a spostarsi da un piano di contenuti e categorie teologiche a quello di un metodo– il discernimento dei segni dei tempi e l’aggiornamento– che resta capace, in un contesto ormai significativamente mutato, di condurre a nuove elaborazioni“. A giudizio di padre Costa, “Francesco, forse proprio perché non ha partecipato al Vaticano II, è protagonista di questo vero e proprio aggiornamento del Vaticano II. In questo senso è radicalmente conciliare”.