Opinione

Quando il vero anticonformismo è difendere la famiglia

Quando qualcuno promette il paradiso in terra, si abbia per certo che si sta preparando una dittatura. Così la storia ci insegna. Così è stato per Rousseau e l’Illuminismo, con il mito del “buon selvaggio”, ferito e corrotto dalla proprietà privata: si ritorni all’ “auterkeia” e l’uomo, innocente e puro per natura, vivrà nel suo paradiso terrestre. Pochi anni, ed ecco la dittatura giacobina e il Terrore.

Così Hegel, Nietzsche, Rosenberg: l’uomo è infelice a causa della morale giudeo-cristiana (“Spezzate quelle Tavole” è il grido del superuomo) e a causa del popolo della promessa, “una nazione di ingannatori” secondo l’illuminista Kant. Liberiamoci di questa spazzatura e si apriranno le porte del paradiso. Pochi anni ed ecco la dittatura nazista e i lager.

Così Engels e Marx: la religione “oppio dei popoli”, la famiglia borghese, la proprietà privata. Nemici da eliminare. Con la lotta di classe e l’egemonia dei soviet si affermerà il paradiso dei proletari. Pochi anni, ed ecco la dittatura comunista e i gulag.

La storia si ripete ai nostri giorni: voci sempre più invadenti che promettono felicità, appagamento, paradiso in terra grazie ad un “nuovo umanesimo” libero da miti religiosi, affrancato da ogni trascendenza, riscattato da ogni limite morale, infarcito di relativismo etico, onnipotente congegno che trasforma ogni desiderio in diritto, capace perfino di garantire il cambio di sesso, a piacimento. Finalmente un uomo totalmente libero da norme e divieti e, quindi, sfacciatamente felice. Si rinnova la grande menzogna di sempre: il paradiso in terra. E mentre il sogno galoppa, si affaccia l’altro volto dell’utopia: la dittatura del pensiero unico, arma necessaria per trasformare il male in bene, la bugia in verità, la follia in sapienza, la sovversione dell’umano in evoluzione dei costumi. Per affermarsi ogni dittatura ha bisogno di un “braccio armato”, con il corollario di una legislazione connivente e di una giurisprudenza quantomeno benevola. Nacquero così le “leggi fascistissime” e i codici razziali, le “purghe” e le rieducazioni forzate, i “licenziamenti per attività sovversive” e i divieti di assunzione di dissidenti.

Il direttore è sì cambiato, ma l’orchestra è sempre la stessa, anche ai nostri giorni. Forse la pratica è meno brutale, o meglio è ancora brutale, ma più ipocrita, meglio camuffata, più politicamente corretta, in guanti bianchi: non olio di ricino e manganello, ma ostracismo ed isolamento sociale, interdizione mediatica, senza rinunciare a qualche legge ad hoc pronta ad imbavagliare il libero pensiero e la libertà di espressione.

Così chi difende la famiglia naturale, il valore di “padre” e “madre”, la sacralità della vita, il diritto di ogni bimbo di avere la sua mamma ed il suo papà, di non essere fatto oggetto di compravendita fra gameti “a la carte” e menu di uteri; chi si oppone con forza per difendere il pudore e l’innocenza dei bimbi, attentati da vergognosi programmi educativi sulla sessualità libera, e impegna ingegno e denaro per salvare anche un solo bimbo e una sola mamma dallo strazio dell’aborto, viene automaticamente descritto come un “nemico” della società e delle donne, un medioevale sovranista, un pericolo pubblico che attenta alla libertà, ancora più pericoloso se in nome di valori morali cristiani.

Ecco la nuova dittatura, con tanto di leggi confezionate ad hoc. Con la promessa del paradiso, ecco sfornata la nuova dittatura.

Negli anni settanta essere anticonformisti significava barba e capelli lunghi, sciarpa rossa al collo, eskimo e pugno chiuso alzato contro la dittatura dello stato borghese; oggi essere anticonformisti vuol dire difendere la vita e la famiglia, parlare di morale sessuale e di atti illeciti, credere nel valore della purezza e della continenza, gettare la cannabis light nel cesso e magari farsi un segno di croce prima di mangiare. Ogni uomo anela al paradiso, ma la strada per raggiungerlo non può essere mai la strada del male, anche se legalizzato ed istituzionalizzato. Né del paradiso in terra e men che meno di quello che conta, in Cielo.

Massimo Gandolfini

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