L’opera di “Aiutiamoli a Vivere” dal disastro di Chernobyl alla guerra in Ucraina

Interris.it ha chiesto a Fabrizio Pacifici, co-fondatore di "Aiutiamoli a Vivere Ong", la storia della fondazione e l'opera ultra trentennale svolta in Ucraina, a partire dall'accoglienza dei bambini malati di Chernobyl fino agli aiuti per la popolazione in guerra

Gli aiuti verso l'Ucraina. Foto: "Aiutiamoli a Vivere Ong"

La Fondazione “Aiutiamoli a Vivere” ha recentemente inviato in Ucraina un camion di aiuti umanitari per la popolazione civile colpita dalla guerra. Il mezzo è giunto domenica 25 febbraio alla Parrocchia della Trasfigurazione, in Romania, per poi arrivare nel Donbass ed essere distribuito alla popolazione e ai militari al fronte. Viveri, ma anche medicine e generatori di corrente per chi, da oltre due anni, non ha più né corrente elettrica né un pasto caldo. E spesso neppure più una casa: anziani, donne e bambini che soffrono la fame, il freddo, le malattie. E la costante paura di morire.

Quella di fine febbraio è stata la 16esima missione in due anni della Fondazione, una Ong nata nel 1991 in risposta al disastro di Chernobyl. Interris.it ha chiesto a Fabrizio Pacifici, co-fondatore di “Aiutiamoli a Vivere Ong”, la storia della fondazione e l’opera ultra trentennale svolta in Ucraina.

Fabrizio Pacifici, terzo da sinistra, con le suore della Parrocchia della Trasfigurazione e due volontari in Romania.
Foto: “Aiutiamoli a Vivere Ong”

L’intervista a Fabrizio Pacifici

“Come è nata la fondazione “Aiutiamoli a Vivere”?

“La fondazione Aiutiamoli a Vivere nasce nel 1992, dopo una prima esperienza nel 1991, di accoglienza nelle famiglie del Ternano di bambini provenienti da Chernobyl, regione all’epoca nell’ex Unione Sovietica, sconvolta dall’esplosione della centrale nucleare avvenuta il 26 aprile 1986. Si stima morirono nel disastro 4mila persone, ma le vittime causate nel medio e lungo periodo dalle radiazioni furono molte di più. Inoltre, le conseguenze sulla salute dei sopravvissuti furono devastanti”.

Come è nato il suo interesse per i bambini di Chernobyl?

“Da una profonda delusione verso la politica”.

In che senso?

“Nel periodo del disastro ero a studiare a Mosca alla scuola del partito comunista. Ero infatti il segretario della federazione giovanile comunista della mia provincia, Terni. Con gli studi in Russia ero destinato alla carriera politica all’interno del partito. A quel tempo, ero lontanissimo dalla fede, anzi: ero del tutto ateo. Ma poi avvenne un incontro che mi cambiò la vita”.

Quale incontro?

“Mentre studiavo a Mosca mi recai in visita all’ospedale numero 9 di Minsk per parlare con una delegazione di medici sulla loro situazione lavorativa. Lì vidi tantissime mamme che accudivano i propri bambini malati di leucemia e tumori alla tiroide frutto delle radiazioni di Chernobyl. Quei bambini avevano urgente bisogno di cure appropriate. Rimasi sconvolto! Andai a bussare alle porte sia di Mikhail Gorbaciov, a Mosca, sia (tornato in Italia) a quella dell’ultimo segretario del Partito Comunista Italiano, Achille Occhetto. Entrambi mi dissero di aspettare, perché era in corso la modifica del partito che stava andando in una direzione nuova. Eravamo nel 1991: il PCI si stava sciogliendo per prendere il nome di Partito Democratico della Sinistra (PDS), di cui Occhetto fu il primo Segretario. L’Unione Sovietica (l’URSS) venne sciolta formalmente il 26 dicembre 1991, dopo le dimissioni di Gorbaciov da Presidente. In quel marasma storico, entrambi mi dissero di aspettare, ma io risposi loro che i bambini stavano morendo e non avevano tempo da perdere. Era necessario fare un appello per ricevere aiuti internazionali. Il mio suggerimento cadde nel vuoto: la politica aveva altre priorità, non certo il salvare la vita ai bambini di Chernobyl. Ne rimasi così deluso che me ne andai sbattendo la porta. Non solo letteralmente: lasciai il partito, lo stipendio che ricevevo e una carriera politica assicurata tra le fila comuniste. E mi ritirai in convento”.

Dal PCI al convento, un bel cambio di prospettiva…

“Sì. E di vita. Nel convento di Terni infatti conobbi un frate, padre Vincenzo Bella dei Frati Minori Conventuali, che mi accompagnò nella mia conversione alla fede cattolica. Inoltre, mi diede la possibilità di fare un appello nella sua parrocchia durante la messa per cercare qualche famiglia disposta ad accogliere i bambini di Chernobyl per assicurare loro cure adeguate. E lì avvenne un miracolo!”.

Il primo gruppo di bambini accolti nel 1992 – A sinistra si notano i due soci fondatori Dott. Fabrizio Pacifici e Padre Vincenzo Bella dei Frati Minori Conventuali. Foto: Aiutiamoli a Vivere

Quale miracolo?

“Dopo il ‘no’ di due grandi della politica del tempo, ricevetti il ‘sì’ della gente comune: ben 18 famiglie si dissero disponibili ad accogliere in casa propria i bimbi per farli curare in Italia. Da quell’appello, partì il tutto. Dopo Terni l’iniziativa, che era stata presentata durante la trasmissione di Mezzogiorno e Mezzo, si espanse in fretta anche fuori dall’Umbria. Era la prima volta che in Italia si verificava un’esperienza del genere. Fu un clamore. Fummo ricevuti in udienza da papa Wojtyla che ci invitò in maniera affettuosa a continuare nella nostra opera, a non stancarsi. Già dopo un anno, dai 18 bambini iniziali, ne arrivarono 150; e così via, una crescita continua. Nel 1992 con padre Vincenzo decidemmo di dare il via alla fondazione ‘Aiutiamoli a Vivere’ che oggi è una Ong. Dal 1992 ad oggi abbiamo salvato oltre 600mila bambini: un miracolo che continua anche oggi, partito da una piccola parrocchia di Terni”.

Dove curate i bambini?

“Accogliamo circa 3.000 bambini l’anno. Li ricoveriamo tutti all’Ospedale Sant’Ursula di Bologna grazie al sostegno dell’equipe del professor Carlo Ventura, direttore del Laboratorio Nazionale di Biologia Molecolare e Bioingegneria delle Cellule Staminali dell’Istituto Nazionale di Biostrutture e Biosistemi (INBB) di cui dirige la Divisione di Bologna. Lui lavora sulla medicina rigenerativa utilizzando le cellule staminali grazie alle quali siamo riusciti a curare diversi bambini nati con malformazioni genetiche gravissime dovute anche alle radiazioni”.

Gli aiuti partiti dalla Romania verso l’Ucraina. Foto: “Aiutiamoli a Vivere Ong”

C’è una storia di un bambino che l’ha colpita particolarmente?

“Sì, quella di Alexander, un bambino di 12 anni che viveva in un orfanotrofio ed era nato con una grave malformazione. Non aveva l’apparato uro-genitale, al suo posto c’era un buco. Con una radiografia abbiamo scoperto l’esistenza di un testicolo all’interno del corpo. Dopo quattro anni e diverse operazioni di ricostruzione della vescica, dell’uretra e del pene, è oggi perfettamente sano, tanto da essere in grado di generare figli. E’ stato un risultato davvero eccezionale”.

Dove svolgete la riabilitazione dei bambini una volta operati?

“Usiamo alcuni ex conventi che ci sono stati messi a disposizione dall’Ordine dei Frati Minori Conventuali perché erano rimasti vuoti e inutilizzati. Oggi li usiamo anche per l’accoglienza, oltre che per la riabilitazione”.

Cosa fate adesso per la popolazione ucraina da quando è scoppiata la guerra?

“Già da prima della guerra, con le chiusure del Covid, non riusciamo più a far venire i bambini nelle famiglie se non in rari casi. La guerra ha complicato ulteriormente le cose. Abbiamo iniziato quasi immediatamente a fare delle missioni di invio di aiuti umanitari: portiamo cibo, medicinali e materiale che occorre alla popolazione, soprattutto generatori di corrente. In due anni abbiamo già fatto 16 missioni. Inoltre, stiamo sostenendo la costruzione di un ospedale a Yashinia, in Ucraina nella regione della Transcarpazia che sta al confine con la Romania. Un luogo lontano dalla guerra che ci serve per lavorare in sicurezza ma contemporaneamente può accogliere i feriti che ci provengono dal Donbass e da Lugansk. Nei prossimi mesi installeremo infine un ambulatorio medico mobile di telemedicina in modo che le analisi e la cura vengano gestite anche dall’Italia, dal Sant’Orsola di Bologna. Dall’Italia portiamo così, oltre al cibo e alle cure, anche un bene infinitamente prezioso in tempo di guerra: la speranza”.