Come le mafie sanno approfittare delle crisi a discapito delle persone bisognose

“Sarà fondamentale intensificare i controlli a ogni livello istituzionale”, spiega l’onorevole Pretto della Commissione Parlamentare Antimafia

Con la distribuzione delle dosi di vaccino, si comincia a vedere finalmente la luce in fondo al tunnel del Coronavirus. Ma la pandemia, come è ormai pacifico, va affrontata anche dal punto di vista economico tramite le risorse (oltre 200 miliardi) del Recovery Fund. Molti soldi che rappresentano la base del futuro dell’Italia che possono diventare preda facile per la criminalità organizzata. Le mafie italiane, ed in primis la ‘ndrangheta, sono apparse subito intelligenti ad approfittare della crisi offrendo il loro sostegno interessato agli imprenditori in difficoltà, bisognosi di liquidità, la quale, invece, non manca alla criminalità organizzata: ‘ndrangheta, Cosa Nostra e Camorra fatturano 500 miliardi l’anno (stima al ribasso), secondo il report della DDA di Reggio Calabria. Per questo, “è necessario che lo Stato sostenga economicamente le persone che si vengono a trovare in condizioni di necessità” dichiara a Interris.it l’Onorevole Erik Pretto, membro della Commissione Parlamentare Antimafia.

Onorevole Pretto, la criminalità organizzata fin da subito ha risposto alla crisi economica, forte di una disponibilità di liquidità senza limite. L’imprenditoria italiana è a rischio, come bisogna reagire?
“In un momento delicato come il presente, in cui molte aziende si trovano nelle condizioni di dover ricercare liquidità di non facile reperimento presso gli istituti bancari, il rischio di infiltrazioni malavitose nelle compagini sociali o nella gestione delle imprese aumenta considerevolmente. Anche attraverso l’ausilio di professionisti conniventi, le organizzazioni mafiose spesso sono in grado di individuare in maniera selettiva le aziende in seria difficoltà, a cui prestare un soccorso tempestivo che diventerà successivamente condizionamento nella gestione imprenditoriale su molte scelte strategiche quali l’individuazione della rete dei fornitori. L’Italia, con la sua legislazione dedicata al contrasto delle organizzazioni malavitose, non è certamente impreparata davanti ai suddetti fenomeni, a differenza di altre realtà continentali. Sarà però fondamentale intensificare i controlli, assicurando alle nostre Forze dell’Ordine il personale e gli strumenti necessari per tutelare la salute del nostro sistema economico, prestando particolare attenzione anche al rischio di indebita acquisizione delle somme stanziate dallo Stato per il soccorso alle imprese in crisi”.

In alcune zone d’Italia, anche a Roma, la mafia si sostituisce allo Stato nella gestione del welfare. La via giudiziaria non può essere la sola nella lotta alla criminalità organizzata. In che modo le istituzioni possono riappropriarsi dei territori?
La storia di molte realtà italiane è ricca di frangenti nei quali i clan hanno trasformato periodi di crisi in grandi opportunità di rafforzamento ed espansione. Quando c’è una sospensione dell’ordinario regime economico e sociale, le mafie sono in grado di inserirsi in queste situazioni per trarne profitto. In tali casi, i gruppi mafiosi cercano di conquistare consenso sociale che è in grado di tradursi in nuove forme di reclutamento di soggetti bisognosi, i quali possono diventare futuri fiancheggiatori: penso ai tanti giovani senza prospettive concrete oppure a padri di famiglia disperati per la perdita del lavoro. È dunque necessario che lo Stato sostenga economicamente le persone che si vengono a trovare in condizioni di necessità, richiedendo in cambio una responsabile prestazione di lavoro a beneficio dell’Amministrazione pubblica: penso ad esempio ai Comuni, che faticano ad erogare efficacemente molti servizi utili alla cittadinanza per mancanza di personale. Questo costituirebbe una sorta di rinnovato ‘patto di fiducia’ fra il cittadino e lo Stato”.

Il Covid ci ha fatto comprendere l’importanza della sanità. In alcune Regioni d’Italia, penso alla Calabria, la ‘ndrangheta ha messo le mani sulle Asl. C’è un problema di classe dirigente connivente?
“Con l’emergenza Coronavirus i ricavi delle mafie provengono da molti settori lucrativi, collegati direttamente o indirettamente alla gestione dell’emergenza stessa: basti pensare ai servizi funerari, al ciclo dei rifiuti, al settore farmaceutico o alla sanità nel suo complesso. Quest’ultima è probabilmente da considerarsi tra i più a rischio di infiltrazione in parte per via delle debolezze che caratterizzano il settore e in parte per gli ingenti investimenti statali ad esso destinati. Il tentativo costante da parte delle associazioni malavitose di garantire contratti alle proprie aziende agendo attraverso la connivenza di alcuni dirigenti pubblici è ormai un fatto noto, come è indubbio che la mafia riesca spesso a posizionare i suoi uomini ai più alti livelli dirigenziali e imprenditoriali per assicurarsi i profitti di queste attività. La soluzione proposta dalla Direzione Investigativa Antimafia è quella del ‘modello già positivamente sperimentato per il Ponte Morandi di Genova, dove si è raggiunta una perfetta sintesi tra efficacia delle procedure di monitoraggio antimafia e celerità nell’esecuzione dei lavori’”.

Ulteriore rischio è che le mafie possano creare delle società fittizie per accaparrarsi i fondi del Recovery Fund. Bisogna aumentare i controlli?
“È evidente che una simile disponibilità economica costituisca una grande occasione per la criminalità organizzata, che in questo momento mira sia ad intercettare i finanziamenti regionali, statali ed europei sia ad aggredire l’economia sana rilevando le imprese in difficoltà. È dunque fondamentale che ogni livello istituzionale, dal singolo Comune alla Prefettura fino ad arrivare alle amministrazioni regionali e statali, possa collaborare sinergicamente nel segnalare situazioni sospette anche attraverso il contributo delle organizzazioni delle categorie economiche locali. L’esigenza è quella di assicurare una rapida ripresa economica senza abbassare il livello di guardia di fronte agli appetiti criminali”.

Un tema fondamentale riguarda i collaboratori di giustizia, spesso non c’è consapevolezza dell’importanza di tali figure. In che modo possiamo spiegarne la funzione?
“Il collaboratore di giustizia è colui che, ad un certo punto del suo percorso criminoso, decide di sciogliersi dall’associazione criminale di cui fa parte per raccontare particolari o dettagli di quest’ultima agli inquirenti, consentendo in questo modo arresti e condanne. È pertanto evidente quanto queste figure siano fondamentali perché in grado di spiegare alle Forze dell’Ordine ed alla Magistratura degli schemi criminali articolati che spesso, dall’esterno, sembrano assai complessi da comprendere ed analizzare. Chi si rende disponibile lealmente a compiere questo importante passo va dunque sostenuto e premiato dalle Istituzioni, con un concreto accompagnamento lungo un percorso che conduca a nuove prospettive sociali e lavorative”.

Le famiglie dei collaboratori e dei testimoni di giustizia in alcuni casi vengono dimenticate dallo Stato. Perché non si interviene con un cambio di generalità definitivo come avviene negli Stati Uniti?
“La protezione dei collaboratori di giustizia e dei relativi familiari è una questione di massima rilevanza. Costoro vengono infatti esposti al pericolo nel momento in cui nelle nuove generalità vengono trasferite le risultanze del casellario giudiziario e del centro elaborazione dati istituito presso il Ministero dell’Interno. I trasferimenti di questi dati alle nuove generalità limitano nei fatti l’attuazione dell’obiettivo del reinserimento sociale del collaboratore, dal momento che ogni datore di lavoro, per procedere all’assunzione di propri dipendenti, richiede giustamente il certificato del casellario giudiziario. Va dunque approfondita la tematica della tutela della riservatezza delle persone ammesse a speciali misure di protezione che svolgono attività lavorativa, peraltro già prevista dalla Legge”.

Sulle pagine di questo quotidiano abbiamo raccontato la storia di Nemo Bonaventura, figlio di un ex boss della ‘ndrangheta. Nemo non può, come molti altri figli di collaboratori, frequentare l’università a causa dell’assenza del cambio delle generalità. Come intendete tutelare questo diritto?
“Il caso di Nemo Bonaventura è esemplare: figlio di Luigi, pentitosi dopo essere stato reggente dell’omonima cosca di Crotone, una volta terminati gli studi liceali non ha potuto iscriversi all’università nella località protetta in cui risiede. Questa vicenda è sintomatica dell’esigenza di flessibilità che la normativa italiana deve poter raggiungere per dare risposte concrete e veloci a cittadini che legittimamente chiedono di poter esercitare i propri diritti. Va dunque fatta una riflessione organica sulla gestione dei programmi di protezione dei testimoni, dei collaboratori di giustizia e dei loro familiari, per consentire loro di avere una vita dignitosa e sicura. La Commissione Bicamerale Antimafia ha iniziato un percorso importante che va proprio in questa direzione, mediante l’istituzione di un apposito Comitato determinato ad approfondire le problematiche riportate da tanti testimoni e collaboratori di giustizia, nonché imprenditori vittime di racket e usura: sono certo che ne usciranno delle proposte normative concrete, da sottoporre poi alle Aule parlamentari”.