Lauree umanistiche: “Così avviciniamo le Alph al mondo del lavoro”

Talents Venture apre una finestra sul mondo delle discipline umanistiche. E sulla necessità di ripensare, in modo propositivo, l'ambito Alph

Lauree Alph
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Ripensare le discipline umanistiche con una veste digitale, in grado di conciliarle al meglio con il mercato del lavoro. Un obiettivo ambizioso ma sempre più necessario, in virtù dell’attrazione che, tutt’oggi, i corsi di laurea in ambito umanistico esercitano sugli studenti. Controbilanciata, però, da un risvolto lavorativo tutto sommato limitato a pochi settori, se non addirittura con sbocchi unici. L’obiettivo del ciclo di incontri proposto da Talents Venture, non a caso denominato “Digital Humanities: il vestito tecnologico delle lauree umanistiche”, va declinato proprio in questo senso: offrire uno spaccato delle cosiddette discipline Alph (Arts, Languages & Literature, Philosophy, History), iniziando dalla loro corretta definizione per finire al piano meramente applicativo, indispensabile da conoscere per coloro che il percorso di studi lo portano a termine. E che, in troppi casi, faticano a collocarsi in un mercato non sufficientemente stimolato sul piano dell’innovazione applicata al comparto umanistico.

Chi sono gli studenti Alph

È chiaro che, sul fronte accademico, il riscontro lavorativo sia tanto necessario quanto la formazione stessa. Se non altro per una questione puramente funzionale, al fine di fornire alle laureate e ai laureati delle concrete opportunità di sbocco professionale anche in settori paralleli. Il riferimento è a un target universitario che comprende tre gruppi disciplinari (letterario-umanistico, arte e design, linguistico) e ben otto classi di laurea (8 triennali e 16 magistrali), per oltre 700 corsi. Evidentemente, un range piuttosto ampio dal quale attingere se l’obiettivo fosse l’introduzione di forza lavoro nel tessuto occupazionale italiano, considerando che la maggioranza degli iscritti porta a termine in modo completo il proprio percorso di studi. Del reso, il peso specifico delle discipline Alph è tutt’altro che irrilevante, considerando che, da sole, vanno a coprire il 12,5% dell’offerta formativa italiana, con una crescita dell’11% dal 2014-2015 a oggi.

Le opportunità lavorative

Una rilevanza che, tuttavia, non è corrisposta da altrettante prospettive occupazionali. Almeno non in misura tale da convincere gli studenti a intraprendere una carriera lavorativa come step successivo alla magistrale. Tra gli studenti Alph, infatti, la percentuale di coloro che puntano a un inserimento lavorativo immediato è praticamente pari a quella dei colleghi che, invece, scelgono di ottenere un ulteriore titolo accademico (54%-46%). Numeri decisamente diversi per quel che riguarda, ad esempio, i laureati in area Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematics), propensi al lavoro immediato per il 66%. Il riscontro in termini occupazionali, in questo senso, ne risente: l’occupazione media degli Alph, infatti, si attestava al 66% nel 2022, contro l’88% degli Stem. Un dato che, a ogni modo, potrebbe risentire della variabile legata ai mercati esteri, decisamente più prodighi di opportunità per questa categoria di professionisti.

La componente digitale

C’è però da tenere in considerazione la variabile digitale. O meglio, l’ancora scarsa propensione delle discipline Alph all’area delle Digital Humanities. Il che, se da un lato comporta appena un 3,9% di spazio applicativo fin qui utilizzato, dall’altro evidenzia un’ampia possibilità di azione per l’ammodernamento dell’area, soprattutto laddove il livello occupazionale e retributivo è inferiore. Come spiegato dalla professoressa Tiziana Lippiello, rettrice dell’Università Cà Foscari, “è necessario che il mondo delle Stem e delle Humanities si incontrino. Lo studio delle discipline umanistiche stimola il pensiero analitico e la capacità di comprendere l’interlocutore. E le aziende iniziano a valorizzare moltissimo queste competenze”. C’è poi una componente culturale, legata a sbocchi professionali che non consentono la conciliazione vita-lavoro. Il che, per paradosso, finisce per penalizzare proprio coloro che per la maggior parte frequentano corsi umanistici, ossia le donne (71,4%).

Senza dimenticare che l’aggiornamento in ambito digitale dei corsi può venire in aiuto anche in relazione all’interazione sempre più autonoma con il web. “Ho notato un calo degli iscritti ai corsi di lingue – ha detto ancora Lippiello -. Ormai l’informatica ti consente quasi di sostituire la funzione del traduttore, senza però contemplare quella mediazione culturale che le tecnologie non sono in grado di offrire. Ma l’Intelligenza artificiale può essere utilizzata per la creazione di percorsi personalizzati e far sì che lo studente possa valorizzare la propria esperienza”.

Riprofilare i corsi di laurea

D’altro canto, l’interazione tra i due mondi potrebbe essere favorita proprio in ambito accademico: “Il mio auspicio – ha spiegato il professor Sergio Cavalieri, rettore dell’Università di Bergamo – è che tra qualche anno non si parli più di Alph e Stem ma che ci sia una contaminazione di queste aree… Ogni giorno c’è un nuovo profilo, una nuova necessità formativa, che porta le università a capire quali sono le professioni del futuro. Spesso è una scommessa, come piazzare un prodotto sul mercato. Noi abbiamo figure professionali nuove che, magari, in altri Paesi sono già emergenti. Bisognerà capire la nostra capacità di cogliere le indicazioni che il mercato del lavoro ci sta fornendo”. Si impone quindi la necessità di essere “reattivi ma anche proattivi”. Una rapidità di cambiamento, “che ci porta a dover riprofilare i corsi di laurea tradizionali”. Secondo una logica concertata e tenendo conto dei tempi necessari per la creazione di un corso di laurea. Anche questo un campo d’azione che, dalla tecnologia, può trovare giovamento.