Galassi (A.p.i.): “Ecco le principali sfide per le piccole e medie imprese”

L’intervista di Interris.it al presidente dell’Associazione piccole e medie industrie Paolo Galassi, che conta circa 2mila associate

Le piccole e medie imprese sono storicamente l’asse portante dell’economia italiana, la rete di aziende e produttori che dal secondo dopoguerra in poi ha generato crescita, sviluppo e ricchezza. Da due anni, però, una serie di eventi sfavorevoli per l’economia – ma non solo – si susseguono in una rapida sequenza. Prima la crisi scatenata dalla pandemia, con l’elevato e drammatico costo di vite umane, che tra limitazioni e chiusure ha parzialmente messo in stand by l’economia globale – a cui si è risposto, in Europa, con il Next Generation Eu, un piano da 750 miliardi di euro – poi l’aumento dei prezzi delle materie prime e il caro energia, infine da oltre quattro mesi la guerra in Ucraina. Come ha reagito il mondo della piccola e media impresa a questa serie di eventi sfavorevoli e come ha affronta sfide importanti e fondamentali come i processi di digitalizzazione e di automazione, ma anche un più difficile incontro tra domanda e offerta di lavoro? Interris.it ne ha parlato con il presidente dell’Associazione piccole e medie industrie (A.P.I.) Paolo Galassi.

L’intervista

Quante sono attualmente le piccole e medie imprese associate e qual è il loro “profilo”, per esempio sono a conduzione famigliare?

“L’A.P.I., che lavora al servizio della piccola e media impresa dal 1946, è arrivata oggi a contare quasi 2mila industrie associate con oltre 38mila addetti in cinque distretti (Monza – Brianza, Sud Ovest di Milano, Lodi, Pavia e Bergamo). Di queste sono imprese manifatturiere il 67% e il 73% sono imprese esportatrici.  Si va dall’alimentare (2%), alla chimica (12%) – con le aziende del settore chimica, gomma e plastica – , al digitale, all’edilizia, al settore grafico, editoriale e cartotecnico (8%), a quello del legno e dell’arredo (6%), a quello della logistica, della meccanica, del terziario e infine del tessile e della moda. Ad oggi le imprese associate sono principalmente a conduzione familiare e stanno investendo sulla manageralizzazione e digitalizzazione per crescere”.

Qual è l’attuale “stato di salute” delle pmi? Quali opportunità ci sono per loro, tra gli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza?

“Dopo lunghi anni di crisi, gli imprenditori ci credono e si fanno trovare pronti a raccogliere questa sfida, sostenendo nuove idee, progetti e investimenti, come dimostrano i dati emersi da un sondaggio condotto dall’Ufficio Studi A.P.I. a giugno 2022, secondo cui il 67% delle pmi associate che hanno risposto all’indagine, valuta positivamente il Pnrr. La maggioranza (66%) lo ritiene veramente un’opportunità per le piccole e medie imprese, proprio alla luce delle possibilità offerte in termini di investimenti in sostenibilità ambientale, innovazione tecnologica e industria 4.0, e il 52% dichiara di voler accedere alla richiesta dei fondi al fine di promuovere proprio progetti di digitalizzazione e/o sostenibilità.

Cosa chiedono le imprese alla politica e alle istituzioni?

“In sostanza, che si lavori all’eliminazione di quelle pratiche che minano di fatto la loro competitività a livello globale, come l’abbattimento del cuneo fiscale, la riduzione dei costi del lavoro e dell’energia, per tornare finalmente a investire nel fare impresa, con risorse dedicate all’innovazione, alla ricerca e sviluppo, alla creazione di progetti che consentano il rilancio dell’economia reale. Perché, sempre guardando alla survey A.P.I., per il 38% degli imprenditori l’Italia è frenata nella crescita proprio dalla prolungata assenza di una politica industriale, oltre che per un eccesso di burocrazia (26%) e per una pubblica amministrazione poco efficiente (20%). Ma questi fondi dobbiamo usarli con lungimiranza:  senza una visione del futuro un Paese non cresce. Senza imprese non c’è sviluppo e benessere sociale, generato dal lavoro”.

Un’emergenza che era presente già prima dello scoppio della guerra in Ucraina è il forte incremento dell’aumento dei prezzi delle materie prime. Come le pmi italiane ne stanno facendo fronte?

“Gli imprenditori hanno tenuto duro durante due anni di pandemia globale, hanno investito, si sono riorganizzati ma, negli ultimi mesi, hanno dovuto rimboccarsi nuovamente le maniche per far fronte a un aumento esorbitante dei costi dell’energia, al rincaro delle materie prime o, spesso, all’impossibilità di trovarle, a cui si sono aggiunti maggiori costi di trasporto, oltre a blocchi e ritardi nelle consegne. Un ulteriore scossone alla sostenibilità delle imprese arriverà dal blocco dell’export con la Russia che, secondo quanto evidenziato dai dati riportati da Confartigianato Imprese è un mercato che, ad oggi, vale (o dovremmo dire valeva) 7,7 miliardi di euro. Da un rapido sondaggio promosso a marzo su un campione di 100 pmi associate ad A.P.I., di cui il 62% è metalmeccanico, è emerso che il 30% esporta in Russia, mentre il 15% in Ucraina. In entrambi i casi per oltre il 50% con vendita diretta. Questo significa che gli imprenditori, per far fronte a pesanti cali di fatturato e alla difficoltà di reperimento delle materie prime che acquistavano da Russia e/o Ucraina, si sono dovuti velocemente reinventare e riorganizzare principalmente cambiando fornitori – e ovviamente questo ha generato maggiori costi –, investire sulla ricerca di nuovi clienti e far fronte alle perdite. Come Associazione abbiamo attivato una task force costantemente impegnata a supportare le pmi associate in questa fase di crisi con informazioni sulle misure per le imprese, le attività normative, le notizie e gli aggiornamenti utili, i servizi, gli incontri di approfondimento e le iniziative di solidarietà legate all’evolversi della crisi”.

Il caro energia è un altro problema che incide sulle pmi, come le supportate in questo?

“La mancanza di una strategia di politica energetica risale a decenni fa, e ci sono riforme che aspettano da trent’anni. Anche L’Europa su questo ha grosse responsabilità, non possiamo immaginare di costruire una politica energetica senza coinvolgere gli altri Stati. In Italia dobbiamo diversificare il mix energetico e diminuire la nostra dipendenza del gas russo con più gas naturale liquido, più rigassificatori, più importazioni di più gas da altre nazioni, lavorare sulle fonti rinnovabili e anche capire come e se rivedere la politica sul nucleare. Le piccole e medie imprese hanno già dato fondo alla loro creatività per sopportare prezzi sempre più alti di energia e materie prime e non si può più chiedere loro di sostenere valori esorbitanti ancora per molto. Questo mette a rischio la competitività delle pmi e di tante filiere del made in Italy. A.P.I. negli ultimi vent’anni ha assicurato alle imprese, attraverso i Gruppi d’Acquisto delle proprie realtà dedicate, un risparmio stimato in circa 50 milioni di euro e anche in queste condizioni di totale instabilità sta operando per proteggere le pmi e calmierare quanto più possibile gli effetti degli aumenti. PMI Energy si occupa dell’intero processo e riesce a ‘spuntare’ condizioni migliorative perché si pone unico interlocutore con i fornitori”.

Sempre più spesso, negli ultimi anni, emerge il tema della domanda e dell’offerta di lavoro che non si incontrano: le aziende hanno bisogno di assumere e aprono posizioni che restano vacanti, mentre il tasso di disoccupazione è all’8,4% (dato Istat che si riferisce ad aprile 2022) e quella giovanile del 23,8%. Come si spiega questa situazione?

“Le imprese hanno bisogno di giovani talenti, sono almeno il 65% le pmi associate che non trovano figure professionali qualificate e capaci di usare le nuove tecnologie su cui stiamo investendo. In questo momento storico, infatti, stiamo assistendo a un fenomeno di esodo di figure professionali intente a ritrovare un maggior equilibrio tra vita personale e professionale o in cerca di un miglioramento della propria posizione economica. Secondo le cifre del Ministero del Lavoro, sono quasi 500mila le dimissioni volontarie registrate nel secondo semestre del 2021, ovvero l’85% in più rispetto al 2020. A ciò si aggiunge una situazione di grande disallineamento tra domanda e offerta di lavoro dovuto principalmente alla difficoltà, soprattutto per le pmi manifatturiere, di reperire figure professionali specializzate, un gap difficile da colmare non solo a livello nazionale. Uno studio della Fondazione europea per la formazione professionale riporta che nei Paesi dell’Ocse un lavoratore su tre non possiede competenze adeguate al lavoro che svolge. In dettaglio, il 21% è sovraqualificato e il 13% sotto qualificato. Un divario che cresce ulteriormente se si prendono in esame i soli Stati dell’Unione Europea, dove il mismatch raggiunge il 45%. Venendo all’Italia, una strada da percorrere per ridurre questo divario è quello del legame con il territorio. Come mi ha detto Clelia Petri, responsabile controllo gestione e qualità di C.B. e componente del Consiglio Direttivo di A.P.I., portare le nostre realtà imprenditoriali nelle scuole superiori permetterebbe ai giovani di indirizzare al meglio il proprio percorso di studi e a noi di attrarre risorse di valore. Per questo ci vorrebbero dei percorsi formativi sempre più evoluti e contaminati, allo scopo di accrescere le competenze trasversali dei ragazzi”.

L’automazione e la digitalizzazione rappresentano una minaccia per la forza lavoro umana? Come non perdere posti di lavoro pur aggiornando la tecnologia della propria azienda?

“Il futuro delle imprese non può prescindere da automazione e digitalizzazione, ma senza dubbio quello che è al centro delle pmi sono le persone, è solo la mente umana che genera innovazione e che guida le macchine. Gli imprenditori investono sulle persone e cercano giovani che sappiano usare le nuove macchine acquistate con gli investimenti sull’industria 4.0. Il tema è questo, dobbiamo lavorare in sinergia con le istituzioni per creare percorsi formativi finalizzati alle reali esigenze del mercato, così riusciremo a generare occupazione. Per favorire la digitalizzazione, in particolare tra le piccole e medie imprese sono fondamentali il capitale umano dei lavoratori e le capacità manageriali. Le importanti complementarietà tra lavoratori qualificati e tecnologie digitali avanzate sono confermate da diverse analisi e studi basati su stime della funzione di produzione. Importante è dunque lo sviluppo di un sistema d’istruzione di alta qualità, colmare il divario digitale delle imprese italiane richiede un rinnovato sforzo nel mondo post-pandemico. L’efficacia di questi e di futuri interventi dipenderà in modo cruciale dalla capacità di sviluppare, modulare e attuare un pacchetto di politiche pubbliche complementari, che integri gli incentivi all’adozione delle tecnologie e gli investimenti infrastrutturali con interventi per migliorare le competenze digitali della forza lavoro e le capacità dei manager e degli imprenditori”.

Un valido alleato in questo processo sono i fondi interprofessionali per la formazione continua dei lavoratori?

“L’attuale contesto di mercato e la digitalizzazione stanno avendo un impatto diretto sulle competenze richieste dal mercato del lavoro, sia degli imprenditori che dei loro collaboratori. Infatti, le aziende sono un mix di queste due figure e la loro capacità di formarsi continuamente è strategica per il futuro della manifattura. La necessità di sviluppare nuove competenze è trasversale a tutte le fasce di popolazione in età di lavoro attiva e riguarda sia le hard skills (competenze tecnico-professionali e competenze trasversali digitali), sia le soft skills, le competenze relative al saper essere che contano in modo prevalente. Per investire in questo percorso, le aziende oggi hanno a disposizione diverse tipologie di strumenti di formazione finanziata di cui spesso non conoscono meccanismi e vantaggi, tra cui i fondi interprofessionali,  enti costituiti pariteticamente da parti datoriali e sindacali a cui è possibile destinare una parte dei versamenti previdenziali che ogni azienda versa all’Inps. Sarebbe strategico se lo Stato investisse anche sulla formazione  dell’imprenditore, che non è un ‘tuttologo’e deve stare al passo con i tempi”.

Quali sono le sfide principali da affrontare per le pmi?

“La sfida più grande la lanciamo al governo: dopo decenni, va varata una politica industriale di medio e lungo periodo. Ci vogliono riforme strutturali che cambino il Paese altrimenti anche il Pnrr sarà solo destinato a spendere denaro e non a moltiplicare gli investimenti rilanciando l’Italia e rafforzando la sua leadership tra i paesi manifatturieri. Le pmi ne sono l’asse portante e dobbiamo salvaguardarle, generano occupazione, sono stabili e investono sul territorio. Le  priorità a cui darà ancora voce A.P.I., continuano ad essere il sostegno all’innovazione e alla transizione green e digitale, una maggiore formazione per imprenditori e collaboratori qualificati, il sostegno al passaggio generazionale, la riduzione del cuneo fiscale, del costo del lavoro e dei costi energetici, una minor burocrazia e più credito per le imprese”.