Il “migrare” non è un fenomeno che risponde solo alla legge dei numeri

Francesco fissa un punto di partenza: la tratta di persone e le altre cause che scatenano le migrazioni, hanno terreno fertile in una impostazione del mondo che mira a massimizzare i profitti incurante dei limiti etici, sociali, ambientali

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La speranza, almeno quella cristiana, non è augurarsi che le cose vadano meglio ma che le cose abbiano un senso.

Le storie

Così intesa, quella impressa nelle storie di Amadou, Mohamed, Abdul, Lamine, Ousmane, può essere compresa meglio! Sono ragazzi che ad essa hanno affidato la loro vita su questa terra e, per quello che ho visto, a ‘Casa Scalabrini 634’ di Roma (un’opera dei Missionari Scalabriniani che accoglie quanti hanno ricevuto lo status di ‘rifugiato’ aiutandoli in un percorso di autonomia) e in altre realtà simili, hanno incontrato il suo volto concreto.

Nulla di scontato, visto che è sempre più diffuso, anche tra i credenti, l’atteggiamento di chi dinanzi alla questione del ‘migrare’ torce il muso, svia il discorso o lo puntualizza come a voler limitare un campo che è minato per antonomasia.

Il racconto

Non ne facciamo una colpa dal momento che non è difficile rintracciare le cause di questa pericolosa deriva in un racconto mediatico e culturale, ormai uniformato, sempre più teso a nutrire certe sfere impulsive per appagare gli istinti o in provvedimenti istituzionali quasi solo emergenziali. Un approccio che ha finito per sedimentare nell’immaginario collettivo un’insicurezza diffusa e fra le pieghe dell’istituzione, una scusa per catalizzare tutta una serie di ‘casi’ e questioni socio-politiche irrisolte. Una degenerazione che per la legge del piano inclinato sta fagocitando anche quelle virtù diffuse come il bene e l’altruismo, spesso retrocessi a buonismo e opportunismo anche quando si tratta di indicare la strada ad un viandante, condividere il cibo con chi ha fame o dare la mano a un naufrago.

Nuova consapevolezza

Solo una diversa consapevolezza può invertire questa tendenza. Il fatto che Papa Francesco non perde occasione per parlarne e agire in modo sistematico, per molti persino ‘ossessivo’, è forse l’ultima voce rimasta a dirci che le storie per come sono rappresentate nel racconto corrente o le soluzioni-tampone, e disomogenee, dei governi, non vanno confuse con il fenomeno; e se c’è qualcuno che vuole imporre la propria visione delle cose (‘i migranti delinquono’) deve fare i conti con uno stato dei fatti che in realtà è diverso.

La consapevolezza ispirata da Francesco non è fine a se stessa; è, invece, il primo passo di un processo che porta ad un agire come egli stesso ha suggerito qualche giorno fa, venerdì 30 luglio, in occasione della Giornata mondiale contro la Tratta degli Esseri Umani: “invito tutti a lavorare insieme alle vittime per trasformare l’economia della tratta in un’economia della cura”.

La tratta è una delle piaghe direttamente connesse alla mobilità umana. Così come lo sono la privazione dei diritti umani, la mancanza di libertà e di condizioni degne di vita e di lavoro. A cui si uniscono le più note ragioni di carattere economico e quelle dovute ai cambiamenti climatici, sempre più diffusi e frequenti. Fattori importanti ma che non esauriscono del tutto la spiegazione di un fenomeno estremamente complesso e planetario.

Non è questo il luogo per analizzarlo nel dettaglio ma il processo di una diversa consapevolezza, sostenuto da Francesco fissa un punto di partenza: la tratta di persone e le altre cause che scatenano le migrazioni, hanno terreno fertile in una impostazione del mondo che segue le leggi del capitalismo neoliberista e nella deregolamentazione dei mercati che mira a massimizzare i profitti incurante dei limiti etici, sociali, ambientali.

Le migrazioni, forzate o spontanee che siano, sono comunque la materia prima e il prodotto di questo sistema: una cartina di tornasole. Non si può dissentire dalla denuncia di Francesco: “Se si segue questa logica esiste solamente il calcolo di vantaggi e svantaggi. Le scelte non si fanno in base ai criteri etici, ma assecondando gli interessi dominanti, spesso abilmente rivestiti con un’apparenza umanitaria o ecologica. Le scelte non si fanno guardando le persone: le persone sono uno dei numeri, anche da sfruttare”.

Le cose urgenti non facciano dimenticare le cose importanti

Fino a quando il ‘migrare’ sarà considerato solo un fenomeno che risponde alla legge dei numeri, pur volendo intervenire c’è il rischio di spendersi per debellare le cause o insistere sugli effetti e dimenticare le persone, già sacrificate ai cicli produttivi o alle briglie delle leggi. Con questo approccio, assieme alle persone rischia di essere sopraffatta e spenta anche la speranza che papa Francesco chiama ‘cura’ ad essi dovuta. Migrare è sperare perché quello che alcuni condizionamenti sociali, politici, economici o climatici possono aver sottratto alla vita di queste persone, può essere loro restituito dalla possibilità che hanno di riprendere e continuare la vita altrove. Sperare è anche migrare perché la possibilità della mobilità, quando non è negata o impedita, è essa stessa il senso di un’esistenza che, nonostante tutto, non viene meno.

Quando nella 104° Giornata del migrante e del rifugiato del 2018 Francesco indicò i famosi quatto verbi ‘accogliere-proteggere-promuovere-integrare’, come la strada con cui trasformare l’economia della mobilità umana, di fatto avviava un corso per raccontare diversamente il ‘migrare’ e riportare l’attenzione alle persone, non solo quelle coinvolte nell’esodo ma anche quelle presenti sulle strade dell’esodo: le probabili nuove comunità interculturali e interetniche.

Non si tratta di strategie per un ‘nuovo ordine mondiale’, non sono ‘ordini di scuderia’ presi da chissà quale magnate ma processi per liberare la speranza; quella che ti fa incontrare Amadou, Mohamed, Abdul, Lamine, Ousmane e con loro innesca i percorsi per arginare i pericoli di viaggi disumani, denunciare e impedire che prolifichino reti di sfruttamento umano o il moltiplicarsi di muri e barriere, presunti ‘rimedi’ che rischiano di fare più vittime di quanti ne può fare una condizione di sottosviluppo o un’emergenza ambientale.

La vera sfida alle ingiustizie che scatenano le migrazioni non può che partire dalla consapevolezza che non si può morire di speranza.

Padre Gaetano Saracino è missionario scalabriniano