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Europa, cosa ha funzionato e cosa no nella gestione della pandemia

La lezione all’Ue dell’emergenza Covid. Interris.it ha intervistato la giornalista Giulia Cortese, esperta di questioni comunitarie e istituzioni europee. Nel loro ultimo summit i leader dell’Unione Europea hanno discusso del miglioramento dell’attuale situazione epidemiologica in Europa. E si sono compiaciuti dei buoni progressi compiuti nella vaccinazione. Sottolineando nel contempo la necessità di proseguire gli sforzi di vaccinazione. E di essere vigili e coordinati di fronte agli sviluppi. In particolare la comparsa e la diffusione di varianti che destano preoccupazione.

Europa sotto esame

Sulla gestione della campagna vaccinale, l’Europa è sembrata in alcune occasioni poco coesa. Dalla crisi del Covid usciranno istituzioni europee più o meno forti?

“Io non sarei troppo severa nel giudicare, nel suo insieme, la condotta della Commissione Ue in risposta alla pandemia. Sono stati fatti inizialmente degli errori, ma poi la campagna vaccinale è decollata. Certo, le difficoltà  che abbiamo attraversato consigliano una riforma. Nel senso di un rafforzamento dell’Ema, l’Agenzia Europea del Farmaco. Come lo stesso premier Mario Draghi ha proposto a Bruxelles. Dobbiamo essere pronti a rispondere a future sfide sanitarie. Ma ritengo che l’Europa, con la pandemia, ha dimostrato di essere la soluzione, non il problema”.Su alcuni temi come la sanità  e i flussi migratori, servirebbe a suo avviso un maggior coordinamento da parte di Bruxelles?

“Arrivare ad una politica europea efficace, umanitaria ed insieme sicura, appare difficile quanto la quadratura del cerchio. Ne abbiamo avuto conferma durante l’ultimo Consiglio Europeo. Credo che, in primo luogo, vada superato il trattato di Dublino. Risale al 1990. Ed appare del tutto inadeguato nella gestione dei flussi migratori. Lo sostengo sulla base dei fatti”.A cosa si riferisce?

“Solo il 7% de migranti sono rifugiati. Il resto è costituito da migranti economici. Andrebbe certo superato, considerati i numeri, il criterio del ‘Paese di primo arrivo’. Perché pone un peso spropositato sulle spalle dei Paesi che sono i terminali della rotta del Mediterraneo centrale ed orientale. Andrebbe riaffermato il principio che chi sbarca in Italia, o in qualsiasi altro Paese di arrivo, sbarca in Europa”.
Quali ritiene che siano le fragilità ed inefficienze alle quali le istituzioni europee devono porre rimedio al loro interno?

“Mi sembra che l’allargamento dell’Unione ad est, con l’inclusione di Paesi dell’ex blocco comunista, abbia reso evidente che il principio di unanimità nel processo decisionale dell’Europa va superato. I temi su cui è necessario progredire sono tanti. Dall’Unione Bancaria all’armonizzazione della legislazione fiscale, importantissima in questa fase.
Tutto questo non sarà realizzabile se non si attribuiranno poteri sostanziali al governo ed al parlamento europei”.

Ursula von der Leyen e Charles Michel

Può farci un esempio?

Impossibile non riconoscere che il ruolo politico dell’Europa nel bacino del Mediterraneo è stato troppo timido nell’affrontare le crisi di questi anni. Lasciando spazio alle mire espansionistiche di Paesi come Russia e Turchia. Sui temi di politica estera, soprattutto per quanto avviene alle porte di casa nostra, dovremmo mostrare maggiore coesione e parlare con una voce sola”.Si arriverà  mai, nel Vecchio Continente, ad una realtà  autenticamente coesa tipo gli Stati Uniti d’Europa?

“Si è detto che il progresso non è che l’utopia realizzata. Penso che di quest’utopia dei padri fondatori dell’Unione abbiamo più che mai bisogno per affrontare le sfide epocali che si profilano all’orizzonte. Sfide che coinvolgono l’ecologia, i rapporti con il continente africano ed il suo boom demografico. I problemi saranno talmente incalzanti che dovremo essere coesi per necessità”.

La giornalista Giulia Cortese, esperta di questioni comunitarie ed istituzioni europee
Giacomo Galeazzi

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