Congo, le violenze che ostacolano la pace

L'intervista di Interris.it al dottor Luca Mainoldi dopo la recrudescenza delle violenze nell'est del paese

Congo

La Repubblica Democratica del Congo è uno stato dell’Africa Centrale con capitale Kinshasa, ex colonia belga indipendente dal giugno 1960. Negli ultimi anni, nell’est del paese, in particolare nelle provincie del Nord Kivu, Sud Kivu e Ituri, a causa della convivenza di diversi gruppi etnici nonché fazioni armate contrapposte, le violenze e le uccisioni di civili sono aumentate esponenzialmente. In particolare, dal 22 febbraio 2021, in cui sono stati uccisi sulla strada che collega Goma a Rutshuru, in Nord Kivu, l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo, la tensione nell’area è ulteriormente aumentata e si è verificata una recrudescenza degli scontri armati. Interris.it, in merito a questo argomento, ha intervistato il dottor Luca Mainoldi, responsabile del settore Africa per l’agenzia Fides.

L’intervista

Qual è l’attuale situazione nella Repubblica Democratica del Congo, in particolare per quanto riguarda le provincie del Nord Kivu, Sud Kivu e dell’Ituri?

“Queste tre provincie nell’est della Repubblica Democratica del Congo da decenni si trovano in situazione di instabilità permanente causata da una serie di conflitti. In particolare, l’instabilità è dovuta a una serie di fattori sia locali oppure in parte proveniente dall’esterno. In primo luogo, bisogna comprendere che, in queste tre province ci sono dei fattori comuni che contribuiscono all’instabilità, nelle stesse convivono diverse popolazioni che sussistono sullo stesso territorio e si devono spartire le risorse, in particolare quelle agricole e alimentari, alle quali si sono aggiunte ultimamente quelle di tipo minerario su cui appunto si inseriscono gli interessi stranieri. A questo si aggiunge poi il fatto che, anche a causa delle guerre negli stati vicini, in particolar modo Rwanda, Burundi e Uganda, sono arrivate nella Repubblica Democratica del Congo delle popolazioni di origine straniera. Queste popolazioni sono viste dagli autoctoni un po’ come degli invasori e ciò ha determinato delle tensioni sulle quali in seguito si sono innestati questi conflitti perché, da una parte, le popolazioni locali si sono costituite in milizie di autodifesa mentre dall’altra, sono arrivate da fuori – insieme a questo movimento di popolazione e di rifugiati, soprattutto dopo le note vicende del Rwanda nel 1994 – sono giunti anche dei gruppi armati che si sono installati nel Nord Kivu, nel Sud Kivu oppure nell’Ituri. Ad esempio, un gruppo che si è differenziato nel tempo, è l’Adf – di origine ugandese – il quale è appunto un gruppo armato che era stato cacciato negli anni ’90 dall’Uganda e in seguito si è installato tra il Nord Kivu e l’Ituri. Tale gruppo si è evoluto nel corso del tempo e afferma di aver aderito allo Stato Islamico e di conseguenza ha assunto un’identità jihadista. Attualmente, allo stesso, sono stati attribuiti la maggior parte dei massacri e delle violenze che si sono verificate in queste aree negli ultimi anni. A tal proposito però, diversi analisti dicono che in realtà, dare questa etichetta di massacro jihadista ugandese, fa comodo a molti al fine di nascondere le dinamiche locali che esistono in queste aree perché, bisogna anche tenere presente che, oltre alle violenze esterne, ci sono tutta questa serie di gruppi nati localmente i quali commettono a loro volta violenze di ogni genere a cui – purtroppo – bisogna aggiungere le forze armate nazionali che, alle volte, si comportano in maniera non sempre rispettosa dei diritti umani”.

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In che modo questa situazione influisce sulla politica e sull’economia dei paesi circostanti nonché dell’intera area?

“La presenza di gruppi armati di origine straniera nell’est della Repubblica Democratica del Congo è il pretesto, per i paesi stranieri circostanti, di intervenire con le proprie forze armate nella Repubblica Democratica del Congo. A volte lo fanno in maniera unilaterale e altre volte in accordo con il governo congolese. A tal proposito è importante sottolineare che, dal 6 maggio 2021, sia per l’Ituri che per il Nord Kivu, è stato proclamato lo stato marziale, ossia queste due province sono sotto il diretto controllo dell’esercito proprio per cercare di mettere sotto controllo tutti i gruppi armati della zona. In particolare, per quanto riguarda il gruppo armato Adf – il quale ora ha cambiato denominazione ed è un affiliato dello stato islamico – l’esercito ugandese sta conducendo alcune attività, insieme all’esercito congolese, contro questo gruppo. Si tenga presente che l’Onu ha una missione militare nella zona che, nel corso degli anni, ha cambiato più volte sigle. Tutto questo non ha ancora permesso di risolvere la situazione, la quale chiaramente, non può essere risolta solamente con mezzi militari ma si deve agire anche al livello politico, cercando soprattutto di coinvolgere le popolazioni che sono vittima di queste violenze. Tornando ai paesi confinanti con la Repubblica Democratica del Congo, bisogna dire che, ad esempio, i gruppi armati burundesi presenti nel Congo, talvolta cercano di attaccare il territorio di Gitega. Invece il Rwanda, allo stato attuale, è riuscito a mettere sotto controllo la situazione e, a quanto pare, non c’è un’instabilità proveniente dal Congo verso lo stesso. Mentre, ultimamente, si sono verificati degli attentati attribuiti a questi terroristi dell’Adf che hanno colpito Kampala, la capitale dell’Uganda; ciò indica che tali gruppi – i quali agiscono nel territorio congolese, talvolta colpiscono il loro paese d’origine”.

In che modo le istituzioni internazionali potrebbero intervenire al fine di favorire la pacificazione in quest’area del pianeta?

“Esiste già un forte coinvolgimento dell’Onu con una missione apposita la quale, purtroppo, non sempre è stata capace di mettere in sicurezza il territorio. Tale missione chiamata Monusco, ossia la missione di stabilizzazione dell’Onu nella Repubblica Democratica del Congo, a volte è riuscita – insieme all’esercito congolese – a mettere sotto controllo alcuni gruppi armati ma non è riuscita a stabilizzare la situazione. L’azione che andrebbe fatta, oltre a quella concernente la sicurezza, è la necessità di coinvolgere le popolazioni locali e anche quelle di origine straniera che ormai si sono installate sul territorio con l’obiettivo di cercare di trovare un accomodamento perché – comunque – il problema di fondo è mettere insieme le esigenze delle diverse popolazioni e cercare un accordo tra di loro. Ciò che manca è un accordo sociale e politico, si parla molto dello sfruttamento delle risorse da parte di entità straniere, sicuramente quello è vero, è certamente un aggravante. Però, a motivo di tutto, ci sono una serie di lamentele delle varie popolazioni per il controllo delle risorse naturali, in particolare agricole e idriche”.