Come l’Africa ha cambiato la mia vita

La voglia di vedere posti nuovi, conoscere nuove culture. Poi la scoperta e la consapevolezza che un viaggio ti cambia la vita

La sera del 4 agosto 2017 mi trovavo all’Aereoporto di Milano Malpensa; poco più di dodici ore dopo atterravo nell’emisfero sud, in un altro continente, in un altro stato, la Tanzania. Stavo cominciando un’esperienza della durata di un mese, ma che in realtà avrebbe avuto un’influenza su di me, sul mio modo di pensare, di vedere le cose e di agire, per tutto il resto della mia vita.

All’inizio non avevo ben chiari i motivi per cui avevo deciso di andare proprio in Africa; avevo semplicemente preso l’occasione al volo quando, nel dicembre precedente, Giuseppe, un mio caro amico nonché compagno di viaggio, mi disse di volerci tornare. Era da poco tornato a Verona dopo 6 mesi di volontariato nel villaggio di Mgolole, a Morogoro. Non posso che essere felice di aver avuto l’impulso di rispondere “Vengo anch’io”. In effetti le motivazioni le ho capite a posteriori, dopo aver deciso di partire.

Il motivo che per primo mi ha spinto ad andare è stato senza dubbio la voglia di vedere luoghi e culture diversi e soprattutto scoprire se sarei stata in grado di fare un’esperienza del genere.

Inoltre Giuseppe mi aveva raccontato dei bambini dell’orfanotrofio di Mgolole, quali erano le loro condizioni, quanti erano e di come le dada (le ragazze che si occupano di loro) non potessero materialmente riuscire a gestire tutto, dal cucinare per quaranta bambini all’accudirli. Mi aveva raccontato di come i bambini avessero iniziato a chiamarlo “Mama Beppe” e gli correvano incontro sorridendo appena lo vedevano arrivare alla porta d’entrata e di quanto queste cose lo rendessero felice.

Non sapevo cosa aspettarmi nonostante tutti i consigli e i racconti del mio amico; immaginarsi dei bambini orfani e in determinate condizioni igieniche e sanitarie è un conto, ma viverlo, vederlo con i propri occhi, portare in prima persona uno di loro all’ospedale perché sta male, è tutta un’altra storia. Si possono ascoltare tutti i racconti del mondo, ma la realtà ha un altro impatto; non solo più tangibile, ma anche più personale. Non è più qualcosa di filtrato dall’esperienza di un’altra persona, diventa la tua esperienza.

Ovviamente non è stato tutto rose e fiori: sono stata male nel vedere alcune situazioni e nel lasciare i bambini quando dovevo partire; spesso mi sono arrabbiata per alcuni modi di gestire o organizzare le cose. Anche lo stress di lavorare con i bambini non è una cosa da poco, ed imparare a relazionarsi con loro in un mese è una vera sfida. Eppure viene tutto ricompensato.

Nonostante al mio ritorno ci abbia messo qualche mese a metabolizzare la mia esperienza, ho capito di aver ricevuto davvero tante cose in cambio, a partire dai sorrisi dei bambini ed dall’essere chiamata da loro “Dada Alice”, che significa “sorella”. Mi sono sentita utile a dei bambini che non hanno una famiglia, giocando con loro, dandogli attenzioni; ho imparato a rapportarmi con una cultura diversa, a contrattare al mercato, a non avere l’acqua potabile del rubinetto nemmeno per lavarmi i denti. Ho dato e ricevuto, sono cresciuta, ho compreso più cose di quante mi aspettassi, ho imparato a dare importanza a cose diverse rispetto a prima.

Il legame che un’esperienza come questa crea con persone e realtà con cui si entra in contatto non ha prezzo, se non quello di essere più consapevoli di ciò che si è, ciò che si ha e ciò che si può fare per gli altri.