Le Acli scendono in campo per la pace

L'intervista di Interris.it a Chiara Pazzaglia, presidente provinciale delle Acli bolognesi, in occasione della manifestazione nazionale per la pace

Il logo della manifestazione per la pace (© Acli)

In questo periodo storico la guerra è alle porte dell’Europa e, secondo gli ultimi dati diffusi dall’Ufficio dell’Alto Commissario Onu per i diritti umani, dal 24 febbraio al 18 ottobre, in Ucraina, le vittime civili del conflitto, finora sono state 6.322, tra cui almeno 397 bambini e i feriti 9.634. L’impegno per la pace è trasversale e, il mondo dell’associazionismo cattolico, guidato dalle Acli e da tanta società civile riunita nella Rete Pace e Disarmo, ha organizzato per la giornata di oggi una manifestazione nazionale per la pace, con l’intento di dare voce all’appello di Papa Francesco affinché tacciano le armi. Interris.it, in merito a questa iniziativa, ha intervistato la dott.ssa Chiara Pazzaglia, presidente delle Acli provinciali di Bologna.

La Presidente delle Acli provinciali di Bologna Chiara Pazzaglia

L’intervista

Che radici ha e che obiettivi si pone la manifestazione per la pace promossa dalle Acli?

“Le Acli nazionali, in vista di questa iniziativa, hanno preparato un dossier di ben 52 pagine dal titolo “Pace, non violenza e disarmo” che, attraverso questa occasione, ripercorre le radici pacifiste dell’associazione. L’elemento significativo da notare è che non c’è improvvisazione e non è un’iniziativa messa in atto adesso perché la guerra ci riguarda più da vicino dal punto di vista geografico. Fin dal primo dopoguerra, quando le Acli sono nate, il movimento è sempre stato connotato da una caratteristica pacifista. In particolare, le Acli, avevano fatto proprio il messaggio di Paolo VI in tema di pace e disarmo e, fin da subito, i manifestanti delle varie iniziative dell’associazione, venivano costruiti con simboli di pace. La stessa cosa, ad esempio, è stata fatta per il conflitto nei Balcani, per le diverse guerre civili in Africa e per conflitti geograficamente meno vicini a noi. Addirittura, negli anni ’60, ci sono dei manifesti che si riferiscono l’inasprimento del clima della guerra fredda tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica quando si è verificata la crisi dei missili e si rischiava una guerra nucleare. Non ci siamo mai tirati indietro. Quindi, le radici dell’iniziativa sono molto profonde e, addirittura, le Acli sono state tra i promotori del servizio civile in alternativa al servizio militare. È una cifra caratteristica del nostro movimento. Le radici più profonde sono, da un lato, nella Costituzione, ma soprattutto, nella Dottrina Sociale della Chiesa. Il nostro pacifismo non è politico, ma ha il suo fondamento nella dottrina dei Papi e dei vescovi. È una scelta di coscienza che si radica nella Dottrina Sociale a cui noi ci ispiriamo. In particolare, l’idea della manifestazione del 5 novembre, nasce perché questo conflitto ci ha toccato molto da vicino e le Acli sono l’unico movimento cattolico, oltre alla Caritas, ad avere una sede a Leopoli. Nella città ucraina abbiamo un patronato con cinque dipendenti e le Acli sono presenti da molti anni e quindi, agli albori di questo conflitto, abbiamo da subito raccolto le preoccupazioni dei nostri colleghi sul posto. Pertanto, da subito, ci siamo attivati e abbiamo fatto una raccolta fondi riuscendo ad inviare tre ambulanze sul posto. In seguito, insieme ad altre associazioni, abbiamo fatto delle spedizioni per portare medicine, cibo, vestiti. Inoltre, da subito, siamo stati un punto di riferimento per gli ucraini che venivano in Italia. A Bologna, ad esempio, ne abbiamo accolti, in generale, più che in tutte le altre città e l’Emilia-Romagna è stata la regione che ne ha accolti di più. In particolare, noi delle Acli, avendo un legame, sia con le colleghe che stavano a Leopoli, che per il fatto che, all’epoca, avevamo già tremila utenti ucraini arrivati da noi attraverso la parrocchia e anche perché rappresentiamo il loro punto di riferimento per le varie pratiche, ci siamo attivati immediatamente attraverso corsi di italiano, l’inserimento scolastico dei bambini, il baby-sitting e i vari aiuti materiali. Ci siamo sentiti da subito molto coinvolti e, a tal punto, abbiamo interpellato i responsabili nazionali di altri enti vicini a noi, ossia l’Azione Cattolica, l’Associazione Papa Giovanni XXIII, i Focolari e Pax Christi, cercando di organizzare nelle varie città e poi al livello nazionale, questa iniziativa. Non ci illudiamo che ciò scaturisca una crisi di coscienza nei potenti della terra. È un segno del fatto che non ci dimentichiamo di questo conflitto e abbiamo fatto nostro l’appello del Papa per dare un segnale che avrà un risvolto concreto soprattutto sulle nostre coscienze, per prendere contezza del fatto che c’è un conflitto molto vicino a noi, il quale rischia di avere ripercussioni molto gravi, non solo in termini economici che già avvertiamo, ma in riguardo all’inasprimento dello stesso con l’uso di armi atomiche.”

Nella convocazione della manifestazione di oggi si richiamano le parole di papa Francesco “Tacciano le armi e si creino le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni giuste e stabili”. Come si sviluppa l’impegno delle Acli per la pace partendo da questo pensiero?

Papa Francesco (© VaticanMedia)

 

“Noi, come dice il Papa, siamo per un negoziato di pace che non preveda l’uso di un linguaggio della violenza. D’altra parte, a Bologna in particolare, il nostro cardinale Zuppi, che ha maturato la sua vocazione nella comunità di Sant’Egidio, è un grande esperto di trattati di pace, come quelli che lui stesso ha condotto in prima persona negli anni ’90 in Mozambico, dove il conflitto era molto aspro. Noi veniamo da questa scuola, ossia dall’impegno alla mediazione, che non preveda l’uso e l’invio di armi. Ci ritroviamo totalmente nell’appello di Papa Francesco per l’avvio di un negoziato dove ognuno rinuncia a qualcosa per il bene e per la sicurezza di tutti. Come insegna il Cardinale Zuppi, ognuno deve essere in grado di fare un passo indietro e rinunciare a qualcosa per trovare finalmente una pacificazione. Non ci possiamo ovviamente aspettare che siano le nazioni che confliggono tra loro ad avere questa iniziativa pertanto, le forze internazionali, devono imporsi in qualche modo, in tal senso.”

Il Cardinale Matteo Zuppi

Il raggiungimento della pace e la contestuale riduzione degli armamenti consentirebbero di avere più risorse da impiegare in favore delle diverse fragilità. In che tipo di progettualità e/o settore potrebbero essere impiegate?

“Fondamentale, i settori che, in questo momento, avrebbero bisogno di risorse sono due, la sanità e l’istruzione e si potrebbero trovare da una riduzione dei costi degli armamenti. Sono due ambiti che rappresentano un investimento principale per il nostro futuro. Una sanità pubblica, degna di quella che è sempre stata la fama del nostro paese nel mondo, fa il modo che tutti abbiano la possibilità di curarsi. Inoltre, l’idea di sanità gratuita e accessibile a tutti confligge totalmente con la cultura dello scarto contro la quale noi ci battiamo quotidianamente. Inoltre, il settore dell’educazione, il quale è sempre stato trascurato negli ultimi anni, mentre il nostro paese si trova a vivere un inverno demografico molto grave e, in termini di età media, viviamo in uno dei paesi più anziani del mondo. Sicuramente, le famiglie non sono sostenute nel loro difficile compito educativo. Questo è uno dei motivi principali per cui, le giovani coppie, hanno timore di creare una famiglia. Quindi, un sostegno alle famiglie, soprattutto in campo educativo, ma poi, a ricaduta, anche termini di conciliazione dei tempi vita – lavoro nonché per quella stabilità e sicurezza che serve ai giovani per pensare di investire sul loro futuro, sarebbe fondamentale per contrastare la fortissima denatalità in cui ci troviamo. In particolare, oggi capiamo che, un’educazione efficace, non riguarda solo la scuola che, sicuramente, deve svolgere il proprio ruolo formativo e educativo. Si pensi ad esempio che, per molti bambini oggi, l’unico luogo dove possono imparare la lingua italiana, un pasto equilibrato e coltivare delle relazioni sociali sane, è la scuola. Sicuramente, il campo educativo, che non riguarda solo la scuola ma anche lo sport, necessità di investimenti maggiori. Molte famiglie che, in questo frangente, si trovano a vivere la crisi economica rinunciano a ciò che considerano superfluo, ossia la sanità, soprattutto in ottica preventiva, allo sport oppure ad attività educative extrascolastiche per i figli. Quindi, nella situazione di crisi educativa che attraversa il nostro tempo, la mancanza di denaro per le famiglie per questi elementi considerati accessori, le fa ricadere in uno stato di deprivazione, non solo economica ma anche sociale e educativa. Tali risorse potrebbero essere meglio utilizzate in questa direzione.”