Trump vs Iran… e l’Europa nel mezzo

Il risultato di una politica caratterizzata da dazi e sanzioni è quello di un evento bellico combattuto sui tavoli diplomatici ed economici invece che con armi convenzionali, cosa che, se non sfociasse in escalation militari, è prodromica sempre alla stipula di nuovi accordi e, quindi, potenzialmente vantaggiosa per tutte le parti coinvolte.

Così concludevo il mio scorso intervento e, alla fine, poco cambia anche riferendosi al clima di tensione che si è aperto tra Stati Uniti e Iran e il suo regime teocratico.

La scintilla che ha innescato la crisi è stata la denuncia sul programma nucleare militare di Teheran da parte premier israeliano Benjamin Netanyahu che in una conferenza stampa a fine aprile ha mostrato le prove raccolte dai servizi segreti di Israele sui programmi occulti di arricchimento dell’uranio, volti alla creazione di ordigni nucleari, attuati parallelamente ai programmi energetici ammessi dall’accordo di Losanna del 2015 sotto il controllo dell’Aiea.

Quest'intesa, infatti, prevedeva il disimpegno nelle attività di ricerca e sviluppo nucleari a scopo bellico da parte dell’Iran a fronte della revoca delle sanzioni economiche che Usa e Ue, in primis, applicavano allo Stato persiano da diversi decenni opprimendone l’economia; questo, da un lato, avrebbe permesso un maggiore impegno nelle politiche di non proliferazione delle armi nucleari e, dall’altro, di aprire un mercato giovane e attrattivo per gli investitori, spingendone, così, la crescita.

La denuncia israeliana, però, ha rimischiato le carte in gioco e gli Usa si sono sfilati unilateralmente dall’accordo minacciando di reintrodurre le sanzioni preesistenti… Di più, si è arrivati a minacciare anche gli Stati europei, con sanzioni economiche mirate alle loro aziende, qualora non seguissero la linea indicata da Washington.

Che dire di questo?

Il tutto si inserisce nel delicato periodo che l’Unione sta vivendo, durante il quale si stanno ricontrattando gli accordi commerciali per evitare i dazi già ventilati da Trump. Questo fatto aggiunge un elemento pesante di confronto sui tavoli aperti poiché gli interessi europei in Iran sono forti e in crescita da quando è stato siglato il precedente accordo a Losanna. Sia la Francia, per voce del presidente Macron, sia l’Italia, tramite il il premier Gentiloni, ribadiscono che gli impegni presi con l’Iran saranno rispettati mentre il commissario alla politica estera Mogherini afferma: “L'accordo nucleare appartiene all'intera comunità internazionale e la Ue è determinata a preservarlo, al popolo iraniano dico: fate in modo che nessuno lo smantelli, è uno dei più grandi obiettivi mai raggiunti dalla comunità internazionale” indicando l’importanza di questa intesa nel panorama geopolitico.

Ovvio che si comprenda la posizione israeliana. Il piccolo Stato mediorientale è sotto minaccia fin dalla nascita da parte di alcune forze islamiste che hanno come obiettivo il suo annientamento. La stessa Hamas è fortemente finanziata dal regime degli ayatollah. Da qui alla continua azione di intelligence verso Teheran e alle reazioni a qualsivoglia violazione degli accordi siglati il passo è breve, come è breve che a reagire in sintonia sia il grande alleato di Gerusalemme: gli Usa.

Cosa succederebbe, però, a livello economico se gli Stati Uniti riprendessero l’azione di embargo verso l’Iran? Diciamolo, probabilmente nulla o poco più…Certo da un punto di vista strettamente politico la situazione sarebbe ben più grave ma a livello di scambi difficilmente ci sarebbero problemi poiché gli interessi in zona sono enormi per diversi Stati, ma, generalmente, sono solo potenziali poiché il mercato iraniano si è aperto da poco e le sinergie e gli scambi sono solo agli albori.

Per alcune aziende la cosa potrebbe essere più problematica. Pensiamo a Coca Cola che, oggi, è il leader di mercato in zona per i soft drink (e in uno Paese con più di 40 milioni di under 30,nel quale sono vietati gli alcolici, la posizione è alquanto redditizia) oppure a Apple che solo l’altro giorno ha bloccato l’accesso a iTunes a tutti i possessori di iPhone, iPad o Mac in Iran. Tuttavia, mentre la prima multinazionale il problema è bypassabile per la seconda un po’ meno.

Finché ci sono da vendere prodotti (come le bibite o i cellulari) l’embargo unilaterale degli Usa potrebbe essere tranquillamente triangolato utilizzando imprese collegate (ma non sotto il diretto controllo delle Companies americane). E' il caso, ad esempio, di Coca Cola Hbc – che produce le bibite del colosso di Atlanta per il centro-sud Europa – e dei distributori terzi in Asia. Per i servizi diretti e venduti online (che oggi rappresentano il settore maggiormente in espansione per Apple o per gli altri colossi Hi-Tech) la cosa diventa, invece, ben più difficile anche se, al momento, questo settore rappresenterebbe solo una parte marginale del mercato odierno che, comunque, resterebbe ancora aperto utilizzando, appunto, triangolazioni ad hoc delle merci attraverso stati che aderissero al regime sanzionatorio.

Per il momento, inoltre, l’Europa non sembrerebbe voler seguire gli Usa, nonostante le minacce di sanzioni, nel loro intento di bloccare ancora una volta l’economia persiana per giungere a un risultato simile a quello che parrebbe abbiano ottenuto con la Corea del Nord. Tuttavia con il tavolo ancora aperto per evitare che le nuove norme protezionistiche volute dall’amministrazione Trump possano riguardare anche i Paesi membri dell’Ue, qualcosa potrebbe condizionare le future mosse di politica estera di tutta l’area e se questa si allineasse all’altra sponda dell’Atlantico lo scenario cambierebbe e di molto.