Se la “via della seta” passa da casa nostra

“Dove non passano le merci, passano gli eserciti” questa frase, attribuita a Frédéric Bastiat indica molto bene un concetto che la storia ha provato in maniera empirica, che i commerci, possibilmente liberi, siano una delle maggiori garanzie di pace duratura tra le nazioni. In questo scenario si inserisce uno dei più grandi errori dell’amministrazione Trump che ha alzato uno scudo protezionistico verso la Cina iniziando, di fatto, una guerra commerciale senza precedenti tra le due principali potenze economiche mondiali.

In verità gli USA non sono mai stati un Paese che garantisse un libero afflusso di merci dall’estero, nonostante una certa vulgata li veda come l’alfiere del libero mercato, le importazioni sono sempre state soggette a un preciso tariffario relativo ai dazi d’importazione (consultabile sul sito hts.usitc.gov) accompagnate da delle tasse di vendita che possono arrivare anche oltre l’8% del prezzo e a una “harbor maintenance fee” che è pari allo 0.125% ogni 1’000 usd di valore di carico.

L’amministrazione Obama, in precedenza, era già intervenuta su queste tariffe per spingere i partner commerciali ad aderire ad accordi specifici che permettessero, così, anche alle merci americane di affluire senza problemi sui mercati esteri come doveva essere, ad esempio, il Trans-Pacific Partnership (TPP) tra gli USA e i paesi intorno all’oceano Pacifico o il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) tra USA e Europa che fu uno dei principali punti di scontro politico tra le varie anime europee ai tempi.

Trump prese di petto questi accordi e li ritirò unilateralmente spingendo a una rinegoziazione più favorevole per gli Stati Uniti e, ovviamente, più penalizzante per i partner sotto la minaccia di nuovi e più pesanti dazi doganali sulle principali voci di export verso il nuovo continente.

Se, da un lato, questa chiusura fu salutata con un certo sollievo da alcuni in Europa, dall’altra spinse molti stati a cercare un alternativa che in Asia e Oceania si è tramutata nel Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) tra i dieci stati dell’ASEAN (cioè Brunei, Cambogia, Indonesia, Laos, Malaysia, Myanmar, Filippine, Singapore, Thailandia e Vietnam) e cinque dei loro partner di libero scambio: Australia, Cina, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud.

La creazione di questa nuova area economica, oltretutto con alcuni degli storici partner e alleati degli stati Uniti come Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud, ha potenzialmente una portata rivoluzionaria nei rapporti tra l’occidente e l’oriente del mondo creando, di fatto, un blocco con un potere contrattuale molto più spinto di quanto possa essere stato qualsiasi concorrente passato degli USA. Di qui la necessità di stringere ancora di più un’alleanza economica con l’Europa e gli altri stati del continente Americano per far fronte alla “potenza di fuoco” di quella sponda del Pacifico diventa ancor più impellente.

Se, come credibilmente sembra, il prossimo POTUS sarà Joe Biden, questi si troverà di fronte a una sfida molto importante soprattutto per via dell’apertura alla Cina di uno dei principali alleati storici come è l’Italia.

È noto che l’attuale maggioranza giallorossa abbia sempre avuto una certa predilezione per i draghi, soprattutto nella componente pentastellata e le mosse dell’attuale Governo Conte, soprattutto tramite il ministro degli esteri Luigi Di Maio mostrano come l’apertura alla Cina non sia solo un ammiccamento ma una realtà.

Solo qualche giorno fa l’Istituto nazionale per il Commercio Estero (ICE) ha siglato un Memorandum of Understanding con Alibaba Group, oggi portale leader mondiale per volumi nel commercio online, per la creazione del “Made in Italy Pavilion” all’interno del portale alibaba.com.

In pratica Alibaba creerà una sezione apposita, sponsorizzata dall’Italia, nei propri siti per promuovere il made in Italy; si tratta di una cosa si potrebbe dire, rivoluzionaria da un lato perché è la prima volta che un governo apra una partnership ufficiale per promuovere le proprie aziende e i loro prodotti all’interno di un marketplace virtuale e dall’altro perché la scelta di Alibaba invece, ad esempio, di Amazon rappresenta una vera e propria scelta di campo verso l’asse pacifico.

Oddio, l’Asia, oggi, rappresenta una frontiera estremamente interessante per lo sviluppo dell’export italiano, cosa che, sfruttando Alibaba, diviene assai attrattiva proprio per la chiusura del RCEP che apre un mercato vastissimo ma a livello di alleanze?

L’Italia è da sempre stata un partner fedele, se pur un filo infido, della corazzata americana, anche perché fu proprio grazie ai programmi di ricostruzione postbellica statunitensi che riuscì a rialzarsi dalle macerie della WW2 fino a diventare una delle grandi potenze economiche del mondo, sebbene, adesso, un po’ traballante per via di politiche economiche e clientelari penalizzanti condotte nel corso degli anni seguendo un ciclo politico improntato sulla campagna elettorale perenne; ora sembra che si voglia cambiare direzione.

Che quello che non riuscì al PCI con l’URSS un tempo possa riuscire al M5S con la Cina?

La domanda è piuttosto oziosa e provocatoria, ovviamente, però il punto politico arriva qui: esiste un progetto di “via della seta 2.0” che permetterebbe di aprire il mercato alla Cina in Europa, scavalcando i dazi esistenti, probabilmente anche quelli della PAC, la Politica Agricola Comune, ma se da un lato, come anticipavo inizialmente, una politica protezionistica sia, nel lungo periodo, penalizzante, se non addirittura dannosa, un risultato anche peggiore potrebbe essere raggiunto se non esistesse un sistema di regole comune che impedisca un dumping sui prezzi da una parte a discapito dell’altra, al di fuori della normale competizione di mercato.

Ovvio che anche una scelta come questa, operata dal governo italiano, discenda non solo da un certo antiamericanismo che, da sempre, permea una certa sinistra e gli ambienti più legati al complottismo e alla chiacchiera da bar, a cui hanno dimostrato spesso di appartenere diversi esponenti della maggioranza relativa pentastellata, ma anche dagli errori strategici dell’amministrazione Trump che, seppur avvantaggiando l’economia interna in questi anni, ha creato un problema serio con i partner esteri, per via delle sue politiche aggressive a livello commerciale, e che l’America pagherà negli anni a venire, con una crescita politica ed economica potenziale del rivale cinese più impetuosa (forse…) unita a una rete di nuove alleanze che andrà a pescare tra quegli stati che le sono stati penalizzati dalle scelte della Casa Bianca che potrebbe ridurre la forza contrattuale americana sui mercati ma, forse, è ancora presto per fare la Cassandra sul destino degli USA.