Referendum: il boomerang di Renzi

Modesto consiglio al popolo dei vacanzieri, sia quelli rimasti in città sia quelli nei luoghi di villeggiatura. Dopo le sane o insolite letture estive dedicate un po’ del vostro tempo a giornali, saggi e articoli incentrati sull’argomento. Perché in autunno, cari vacanzieri ma anche elettori, sarete chiamati ad esprimervi sulla riforma costituzionale voluta dal governo, approvata dal parlamento con un voto a maggioranza, attraverso lo strumento del referendum confermativo. Perché ora è certo che si voterà.

Con il via libera della Cassazione alle firme per il Referendum sulla riforma costituzionale si mette ufficialmente in moto la macchina referendaria che taglierà il traguardo, con tutta probabilità, a fine novembre. Ora davanti ci sono più di tre mesi di confronto politico arroventato, fino a quando si consumerà il rito del voto ipotizzato per il 20 o 27 novembre (e che si incrocerà con il pronunciamento della Consulta sull’Italicum fissato per il 4 ottobre). La Corte Suprema ha ufficialmente dato l’Ok alle firme per raccolte dal Comitato per il Sì. Delle 580 mila firme raccolte dal Comitato e presentate il 14 luglio scorso, 550 mila sono state ritenute valide. La Corte ha lavorato a ritmo serrato in questi giorni riuscendo ad anticipare così di qualche giorno il suo “verdetto” rispetto alla scadenza del 15 agosto.

Il timing prevede che dopo il responso della Cassazione scattino i 60 giorni di tempo per il governo per deliberare la data del Referendum. Ma prima devono trascorrere 10 giorni per gli eventuali ricorsi. La data della consultazione popolare potrebbe essere all’ordine del giorno del Cdm alla ripresa dei lavori dopo la pausa estiva (tra fine agosto e i primi di settembre). Subito dopo la delibera del Cdm la parola passa al Capo dello Stato che indice, con decreto presidenziale, il Referendum. Il voto potrà essere fissato in una domenica compresa tra il 50/mo e il 70/mo giorno dal decreto di indizione. Sin qui il tecnicismo legislativo. Ma ciò che conta veramente è il dibattito politico e la posta in palio connessa al voto.

Con un sì o un no ad un unico quesito, gli italiani potranno approvare o respingere il ddl Boschi, approvato in via definitiva ad aprile, che modifica la parte seconda della Carta. In estrema sintesi l’elaborato prevede lo Stop al bicameralismo perfetto; nuovo Federalismo; abolizione definitiva di Province e Cnel. Il decreto non tocca i poteri del governo. In realtà dietro a quel si e al quel no in molti vedono un voto sul governo: o con Renzi o contro di lui. Del resto è stato lo stesso premier, all’inizio, a personalizzare il voto, salvo poi rendersi conto del rischio che questo tipo di identificazione comporta. Ma il passo indietro è arrivato troppo tardi e rischia di rivelarsi un boomerang.

La maggioranza degli italiani ha nel proprio dna una naturale idiosincrasia nei confronti dei “prodotti” troppi tecnici, preferendo di gran lunga i processi di semplificazione. Non a caso il referendum sul divorzio, seppur a tanti anni di distanza, resta ancora una pietra, miliare, un termine di paragone assoluto, del cosiddetto ingresso nel dibattito politico della società civile. Allora, non oggi, furono tutti i ceti sociali a muoversi, a impegnarsi. Oggi corriamo il serio rischio di un voto elitario, di pochi contro molti, di fatto la dittatura della minoranza sulla maggioranza. Anche perché il referendum confermativo non ha bisogno del quorum. E questo particolare, l’assenza del raggiungimento del 50% dei votanti affinché la consultazione sia valida, rende ancor più politico il voto. E i segnali post Cassazione. Sono inequivocabili.

“Per il Comitato Basta un Sì, la decisione della Cassazione è fonte di estrema soddisfazione, perché ripaga l’enorme lavoro di raccolta compiuto in poche settimane da volontari, attivisti, associazioni e organizzazioni locali”, affermano i promotori del comitato Bastaunsì, “raccogliere quasi 600mila firme ha significato per noi parlare e condividere con altrettanti cittadini le ragioni del nostro impegno, il senso del Referendum, la riforma che vogliamo approvare”. Ancor più esplicito il presidente del consiglio Matteo Renzi, che rilancia su twitter il commento del comitato per il sì: “Adesso possiamo dirlo: questo è il referendum degli italiani”. Tutto politico il ragionamento del capo del governo e del comitato. Nessuno spazio al tecnicismo. Dal fronte del no, oltre a lanciare la crociata, una sola chiara richiesta: la data. Come se dal calendario dipendesse il risultato. Ma nel mezzo c’è il vero convitato di pietra di tutto il ragionamento: la legge elettorale. Gli unici a mettere sul piatto il tema sono gli esponenti della minoranza dem pronti a votare non se non verrà modificato l’Italicum. In molti non vogliono vedere questa connessione, eppure c’è ed molto forte. Basta documentarsi un po’ per comprenderla sino in fondo. Magari anche sotto l’ombrellone.