E’ ora di dar vita agli Stati Uniti d’Europa

Siamo entrati nell’“anno uno” dell’Europa post Merkel. Purtroppo però i ritardi dell’Unione europea sulla compiutezza della propria forma istituzionale e sul protagonismo nella scena internazionale rimangono gli stessi. Certo, quando una leader europea così rilevante abbandona la ribalta è una perdita per tutti, ma dobbiamo comunque constatare che – in assenza di un’Europa davvero unita –  ogni esponente, per quanto di spicco, rappresenta alla fine soltanto il proprio Paese. Perciò sia le “scadenze” comunitarie (come la presidenza del Parlamento europeo o, tra pochi mesi, quella del Consiglio europeo) sia quelle nazionali (come le elezioni presidenziali in Francia) segneranno dei mutamenti di rilievo ma non incideranno più di tanto sui destini dell’Unione. Bisogna prenderne atto: siamo ancora assai indietro nel processo di costruzione di un’Europa davvero unita. Basti pensare che soltanto perché costretta dalla pandemia l’Unione ha saputo superare i tabù sulla mutualizzazione del debito, attraverso i Piani nazionali di ripresa e resilienza, cosa che, per la prima volta, l’ha fatta somigliare a un’Unione federale.

Un primo passo: ma non sufficiente. Perché, nel frattempo, il mondo del XXI secolo sta già impostando nuovi paradigmi geopolitici, con il perdurare del declino americano e la novità del rilievo assunto dall’inedito “capitalismo totalitario” della Repubblica popolare cinese. Per di più, con l’avvento della società digitale, ci troviamo di fronte al grande interrogativo se essa, privilegiando “l’immediatezza” della comunicazione, non finisca per erodere le democrazie che, invece, fondano sulla “mediazione” la loro constituency.

Anche per questo non abbiamo alternative: il nostro destino non può che essere quello di dar vita, com’era nel sogno dei Padri fondatori, agli Stati Uniti d’Europa. In questo contesto, Mario Draghi, il migliore degli italiani in circolazione nel Continente, godendo di una stima universale, può essere certamente un elemento propulsivo della dinamica unitaria. Ma, così come per la Merkel, è difficile che basti la presenza di un grande leader nazionale a superare le timidezze europee nello scacchiere mondiale. Sarebbe stato positivo, ad esempio, sulla vicenda dei migranti alla frontiera tra la Polonia la Bielorussia, sentire una voce unica e forte dell’Unione europea. Così come sulla confrontation in atto sull’Ucraina, dove invece abbiamo lasciato soli gli Stati Uniti. Così come, ancora, sulle gravissime violazioni dei diritti umani e politici in Kazakistan. I nostri confini orientali sono segnati dall’invadenza di Putin: ma la nostra reazione è flebile, se non inesistente.

In un recente articolo a firma Draghi-Macron pubblicato sul Financial Times, i due leader hanno espresso la necessità di un’agenda europea delle riforme da attuarsi con investimenti comuni e regole più adeguate del patto di stabilità. Si tratta di una posizione che va nella giusta direzione, ma c’è da dire che, finora, nessuno affronta il cuore dei problemi: l’architettura costituzionale europea. Quanto ancora dovremo aspettare prima di sentirci protagonisti di un’unica patria, di una sola grande democrazia europea? Mi rendo conto che per raggiungere questo traguardo bisognerebbe prima trovare risposta alla domanda delle domande: chi sono “gli Europei”, quali i loro valori, quale la loro identità comune? A questo proposito scontiamo la timidezza e le contraddizioni della vecchia Convenzione per la redazione di una Costituzione europea che finì per non includere alcun riferimento alle nostre radici cristiane, ritenendole in contrasto con la cultura illuminista. Che grande errore! Il nostro enorme patrimonio storico e culturale è stato costruito insieme dalla fede e dalla  ragione.

Sta proprio qui l’origine di tutti i nostri ritardi: perché senza l’unità culturale, che è il riconoscimento di una ricchezza plurale, non potremo raggiungere né l’unità economica, né una vera unità politica. E, dunque, difficilmente riusciremo ad essere una riconosciuta potenza mondiale.