Il modello di magistrato che l’attuale crisi della giurisdizione reclama

Se uno degli obiettivi della riforma dell’ordinamento giudiziario – approvata dalla Camera qualche giorno fa e a breve all’esame del Senato – è di recidere il cordone ombelicale, come lo ha definito il vice-presidente del Consiglio Superiore della Magistratura on David Ermini, tra le correnti dell’Associazione Nazionale Magistrati e lo stesso Csm, è agevole constatare che le nuove disposizioni non solo non contrastano il correntismo, ma rischiano in concreo di rafforzare ulteriormente le correnti medesime.

Si consideri quanto la riforma prevede per il sistema di elezione dell’organo di autogoverno della magistratura. Accanto a due collegi unici nazionali – riservato l’uno per eleggere due magistrati che svolgono effettivamente funzioni di legittimità in quanto destinati alla Corte di Cassazione e alla Procura Generale della Suprema Corte, e l’altro per eleggere cinque giudici di merito – vengono introdotti due collegi elettorali territoriali per l’elezione di cinque p.m. e quattro collegi territoriali per l’elezione di otto giudici.

È evidente che l’aver privilegiato una dimensione meramente quantitativa rende altamente difficile, se non impossibile, la presentazione di candidature al di fuori delle designazioni correntizie. Con un meccanismo così congegnato, il solo elemento in grado di competere e di vincere resta l’appartenenza e l’appoggio della corrente: non l’autorevolezza professionale, che può essere spesa unicamente in ambiti territoriali ristretti, al cui interno rileva il rapporto personale.

La riforma legittima pure il carrierismo, che della patologia correntizia costituisce una delle manifestazioni più insidiose. Lungi dal rendere oggettivi i criteri di designazione dei magistrati destinati a ricoprire incarichi direttivi e semidirettivi, si prevede, ancora una volta, di attribuire rilievo decisivo alle cosiddette attitudini, dal contenuto assai variamente modulabile a seconda dei candidati, mortificando il criterio, meno manipolabile, dell’anzianità con merito.

Ora, che vi sia la necessità di rendere più attendibili e serie le valutazioni di professionalità dei magistrati è dato indiscutibile. Lo è assai meno ritenere di poter risolvere la questione mediante l’introduzione, come fa la riforma, di un fascicolo personale, la cui gestione appare strutturalmente poco trasparente, al di là della propensione di chi di volta in volta quel fascicolo concorrerà a formare. Il fascicolo è peraltro destinato a svolgere un ruolo decisivo sia per le valutazioni di professionalità, cioè per gli avanzamenti di carriera, sia per il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi, e non è detto né da chi viene gestito né come viene alimentato, con il rischio di legittimare un’attività di dossieraggio strumentale.

L’effetto complessivo dell’intervento promosso dal Governo sembra essere quello di porre in pericolo l’indipendenza interna del magistrato, ovvero la sua impermeabilità rispetto a condizionamenti derivanti o dal potere, inalterato, delle correnti e di gruppi di potere, e/o da quello dai capi degli uffici. L’esatto contrario del modello di magistrato che l’attuale crisi della giurisdizione reclamerebbe, e soprattutto che i cittadini si attendono.

Alfredo Mantovano del Centro Studi Livatino