Il lavoro è amore rivelato

Il lavoro è amore rivelato. È uno dei versi della poesia di Khalil Gibran, è ciò che cambia il lavoro da strumento di sussistenza a missione verso qualcuno, è ciò che rende speciale l’incontro quotidiano. È profondo il pensiero di Gibran, eppure si rivolge ad un contadino, un lavoratore della terra, una persona semplice e forse poco istruita, quasi a voler restituire dignità al lavoro, ad ogni lavoro, quando viene realizzato con corpo e anima insieme.

Voi lavorate per assecondare il ritmo della terra e l’anima della terra. Poiché oziare è estraniarsi dalle stagioni e uscire dal corso della vita, che avanza in solenne e fiera sottomissione verso l’infinito. Sono parole e versi che mi fanno pensare all’importanza di accogliere in profondità la persona che hai di fronte (la terra) e di assecondarne il ritmo, le domane, i bisogni, la voglia di futuro.

Vivendo delle vostre fatiche, voi amate in verità la vita. E amare la vita attraverso la fatica è comprenderne il segreto più profondo. Il lavoro è amore per la vita, ma nella relazione e nella reciprocità, senza le quali la fatica diventa fine a sé stessa ed alla fine insopportabile. E io vi dico che in verità la vita è tenebre fuorché quando è slancio, e ogni slancio è cieco fuorché quando è sapere, e ogni sapere è vano fuorché quando è lavoro, e ogni lavoro è vuoto fuorché quando è amore; e quando lavorate con amore voi stabilite un vincolo con voi stessi, con gli altri e con Dio. Me lo ha insegnato un amico, un fratello, un testimone d’amore e per Lui voglio ancora scegliere parole del poeta su “Cos’è lavorare con amore”.

E’ tessere un abito con i fili del cuore, come se dovesse indossarlo il vostro amato. E’ costruire una casa con dedizione come se dovesse abitarla il vostro amato. E’ spargere teneramente i semi e mietere il raccolto con gioia, come se dovesse goderne il frutto il vostro amato. E’ diffondere in tutto ciò che fate il soffio del vostro spirito. E sapere che tutti i venerati morti stanno vigili intorno a voi. Ecco come il lavoro è amore rivelato.

Questa testimonianza, che insieme a quella di mio padre, è stata per me una musa ispiratrice, è in me ancora viva ed efficace, mi rende ancor più responsabile nel portare ogni giorno l’emblema della vita, entusiasta, curioso, amante della vita e delle scommesse che la vita presenta. Mi ha trasmesso l’ideale di un Amore appassionato per il suo lavoro, stancante, stressante, impegnativo, ma vissuto con gioia. Ma non era stakhanovismo, né tanto meno ricerca di onori, privilegi o guadagni. Queste cose non lo hanno mai interessato. Non era il lavoro che lo interessava e neppure la notorietà o la ricchezza che avrebbe potuto dargli, ma l’uomo che poteva aiutare. Per questo era sempre pieno di entusiasmo, di sogni, di progetti.

A volte sembrava quasi dimesso, ma ho presto capito che togliere l’abito sfavillante e mettere il saio del pellegrino era il suo modo di facilitare la relazione con le persone più umili, più fragili, più bisognose di un abbraccio.

Dietro la sua professionalità, infatti, c’era molto altro, c’era la passione per l’uomo, e per l’uomo sofferente, da accogliere, per dirla con le sue parole “in una dimensione di ascolto autentico, meglio se nel silenzio, per favorire il fiducioso abbandono di chi sta soffrendo e che assieme alla nostra necessaria competenza ha bisogno di una spalla alla quale appoggiarsi”.

Ma tutto questo non sarebbe stato sufficiente a rendere il percorso sulla Terra così speciale. Era necessario il trascendente, il rapporto vitale con Dio, perché è contemporaneamente l’origine e il fine di ogni sua passione, della sua capacità di amore. C’era una santa inquietudine, perché alla ricerca di un “oltre”, del significato profondo della vita.

Ecco che allora l’amore per la vita, per la famiglia, per il lavoro, per ogni essere umano, è diventato in maniera straordinaria un amore rivelato ed ha trovato la sua “perfezione” nell’incontro con don Oreste Benzi, quel prete dalla tonaca lisa che ha compreso e spiegato che l’Amore ha bisogno della relazione e che quella relazione può essere piena solo se ti sconvolge la vita, entra nella tua vita, ti chiede un posto nella tua casa.

Ripeteva sempre la frase di un amico: “Metti un po’ di audacia, tanto si vive solo una volta”. E lui l’audacia ce l’ha messa, tanta, in tutte gli ambiti della sua vita: l’audacia di amare le persone, il lavoro, il creato, senza risparmiarsi mai.

Così, l’imprevedibilità dell’infermità e della morte non hanno lasciato un vuoto inconsolabile, bensì frutti evidenti e coerenti, che rendono quella vita degna di essere stata vissuta e la rendono viva anche in questo “oltre” nel ricordo e nei segni tangibili di quel “lavoro” che è stato “Amore rivelato”.

Nel momento storico che stiamo vivendo, in cui sono evidenti i segni di sfaldamento sociale, politico, economico, servono testimoni di Amore, ma di un amore concreto, che tende la mano al fratello che sta soffrendo, che si fa carico di quella sofferenza e che trasforma questa prossimità in condivisione, nel dividere il proprio tempo e la propria casa con quel povero, perché ormai quella persona ti è entrata nel cuore e non ti lascia più.

Penso che l’unico e vero obiettivo a cui posso aspirare, è poter vivere una vita piena come quella che ha vissuto lui e lasciare una traccia profonda e fertile come quella che ha lasciato lui.