La contraddizione del “diritto bellico”

Il diritto agisce come una colla: unisce gli individui che compongono ogni società umana. Gli esseri umani non sanno e non possono vivere isolati. E per questo hanno bisogno del diritto per regolare i rapporti con i propri simili. Altrimenti è guerra di tutti contro tutti. È la legge del più forte o del più crudele. È violenza pura. È l'estinzione della specie umana. Qualsiasi aggregato umano ha bisogno di organizzazione e di regole. Dove si forma una società umana ivi alberga il diritto; dove si sviluppa il diritto ivi si crea una società (Ubi societas ibi ius. Ubi ius ibi societas). Dove, invece, una società è in corso di dissoluzione: ivi impera la guerra, ivi si combatte una guerra civile.

È illuminate la definizione di “guerra” fornita da Carl von Clausewitz per stabilire il rapporto tra volontà delle classi politiche e  delle gerarchie militari. Von Clausewitz era un generale prussiano ed aveva diretto a lungo la scuola per la preparazione degli ufficiali. Nel corso degli anni, egli aveva elaborato degli appunti corposi, i quali furono raccolti, riordinati e stampati un paio d'anni dopo la sua morte (avvenuta nel 1830). Il volume è stato tradotto in italiano più di un secolo dopo (nel 1942) ed ha per titolo: Della guerra (l'opera è stata pubblicata più volte ed inserita anche nella collana degli Oscar della Mondadori, e dopo il 1970 ha avuto diverse ristampe). In una delle definizioni passate alla storia, von Clausewitz ha chiarito il rapporto tra politica e guerra, quando dice: “La guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi”. In altre parole, sostiene che la guerra è uno strumento della politica. E fin qui nulla di nuovo. Ciò che invece va evidenziato è il passaggio finale: con altri mezzi. Cioè la guerra è la prosecuzione della politica con mezzi non usuali e comunque con mezzi assai particolari. Se la guerra comporta l'uso di mezzi eccezionali, ci si deve domandare quali sono i “mezzi normali” della politica. La risposta che venne data e accettata universalmente fu questa: i mezzi normali della politica sono quelli diplomatici. L'opinione non venne messa in discussione. Eppure io avrei seri dubbi sulla fondatezza di questa credenza.

Invero non ci si accorse che un non giurista (un generale) potesse aver intuito la possibilità di fornire una nuova definizione del diritto. Mi spiego. Assai spesso le guerre sono state precedute da abboccamenti diplomatici miseramente falliti. Ma veramente i normali mezzi di cui si serve la politica sono esclusivamente quelli della diplomazia? Oppure, occorre riconoscere che le attività diplomatiche rientrano in un più vasto universo? E che esse, in ogni caso, non fuoriescono dall'ambito giuridico. Anzi, ne fanno parte insieme a tantissime altre attività. Ecco allora apparire la vera natura tanto della guerra quanto del diritto: entrambi sono strumenti al servizio delle classi dominanti e delle loro scelte economiche, politiche e sociologiche. Variano con i tempi e i luoghi, così come cambiano le classi sociali dirigenti degli Stati. Stabilito ciò che i due sistemi hanno in comune, occorre rintracciare le differenze tra di essi.

La guerra è uno strumento arcaico: di chi vuol imporre la propria volontà e vuole sottomettere l'avversario: legittima l'uccisione e le violenze più barbare come necessità belliche. È un atto di forza che ha per scopo quello di costringere il nemico a sottomettersi. Incita all'odio del nemico. Al vincitore, promette ricchezze, onori e avanzamenti nella carriera militare. Viene rappresentata ancor oggi con il segno della spada. Il diritto è il mezzo adottato dei popoli civili. Cerca il consenso e la giustizia. Deve creare il consenso del popolo, convincere ad ubbidire. Non per l'uso della forza, ma per altri motivi. Anche se nei sistemi giuridici l'uso della forza non è escluso: si tratta di un uso moderato e legittimo. Il diritto dovrebbe essere l'arte del buono e dell'equo. Nelle raffigurazioni pittoriche viene rappresentato con il segno della bilancia.

Veniamo all'oggi e al discorso (dell'8 aprile 2018) di Papa Francesco: “Non c'è una guerra buona e una guerra cattiva e niente, niente, può giustificare l'uso di tali strumenti di sterminio contro persone e popolazioni inermi. Preghiamo perché i responsabili politici e militari scelgano un'altra via: quella del negoziato, la sola che può portare una pace che non sia quella della morte e della distruzione“. La via del negoziato è la via del diritto. Nel mio Guerra o diritto?” (III edizione 2013) ho scritto che la “guerra non è mai giusta”. E che il cosiddetto diritto bellico è una contraddizione assoluta. “La guerra è la notte del diritto” e “una cattiva maestra”. È un retaggio del passato che fa ancora le sue vittime e le sue stragi.