L’inverno demografico che non passa mai in Occidente

C’è un inverno che non passa mai in Occidente e che colpisce ancora più duramente l’Italia, parliamo di quello demografico che lascia le culle del Vecchio Continente sempre più vuote.

Gli ultimi dati pubblicati dall’Istat due settimane fa e relativi al 2021 segnano l’ennesimo record negativo dei nati in Italia. Per la prima volta dall’Unità della Nazione a questa parte siamo scesi sotto i 400mila nuovi nati, 399.431 per l’esattezza, in diminuzione dell’1,3% rispetto al 2020 e quasi del 31% a confronto col 2008, anno di massimo relativo più recente delle nascite. Il calo dei nati totali già osservato nel corso del 2020 (-3,6% rispetto al 2019) tuttavia è dovuto solo in parte agli effetti della pandemia. L’Italia sconta infatti l’onda lunga della denatalità iniziata già a metà anni Settanta. Il fenomeno consolidatosi nel tempo ha fatto sì che oggi manchino all’appello centinaia di migliaia di donne in età fertile, ovvero di madri potenziali che la statistica considera tra i 15 e 49 anni.

La pandemia ha solo dato il colpo di grazia ad una situazione già critica, il tasso medio di figli per donna scende infatti 1,24 nel 2020 (ultimo dato disponibile) ma era appena dell’1,27 nel 2019, il massimo relativo di fecondità negli ultimi anni si è toccato nel triennio 2008-2010 con 1,44 figli per donna.

Questo andamento delle nascite sommato all’aumento delle morti, dovuto alla pandemia, dà come risultato una diminuzione della popolazione complessiva residente in Italia. Al 31 dicembre 2021 la popolazione nel nostro Paese ammonta a 58.983.122 unità, si registrano 253.091 persone in meno rispetto alla stessa data del 2020. Possono quindi star tranquilli i catastrofisti neomaltusiani che agitano i fantasmi della sovrappopolazione della Terra. Secondo le stime degli esperti l’Italia nel 2070 avrà circa 47 milioni di abitanti. Presto lo spopolamento, come ho già accennato, non riguarderà solo il bel Paese ma praticamente tutto il pianeta; ad esclusione dell’Africa tutti gli altri continenti sono in calo demografico e nessun Paese raggiunge la cosiddetta soglia di sostituzione di 2,1 figli per donna. Fatto sta che moltissimi governi stanno adottando piani per promuovere la genitorialità, compresa la Cina che ha recentemente eliminato il limite di un solo figlio per coppia imposto per decenni dal regime comunista.

Le conseguenze di questo nuovo scenario sono sotto gli occhi di tutti, dal punto di vista economico si rischia un vero e proprio sconquasso previdenziale dal momento che le persone in età da lavoro presto saranno meno numerose di quelli in età da pensione. Gli effetti dal punto di vista sociale e antropologico sono ancora più devastanti; una società che non fa figli si ripiega su sé stessa, sulle proprie paure ed egoismi, e chiude le porte alla speranza. La famiglia è infatti la prima palestra di socialità dove si impara l’impegno gratuito per l’altro, dove il più fragile non viene mai lasciato indietro e in solitudine ma è valorizzato per le sue capacità.

Intanto qualcosa di muove. La sempre più diffusa consapevolezza della necessità di una battaglia culturale tesa a valorizzare la genitorialità, la natalità e il valore stesso della vita nascente, ha portato quaranta associazioni italiane per la vita e la famiglia a chiedere al mondo politico di istituire una giornata nazionale, da celebrare ogni 25 marzo, che metta a sistema misure contro l’inverno demografico. L’iniziativa è sostenuta da sei disegni di legge e da numerosi sindaci di comuni che rischiano lo spopolamento.

I proponenti credono che la Giornata della Vita Nascente possa diventare una sorta di 8 marzo della natalità, ovvero un giorno in cui tutta la Nazione sia impegnata a fare il punto sui provvedimenti presi e su quanto ancora c’è da fare per rendere il nostro Paese a misura di famiglia. Ma la ricorrenza non deve essere solo un promemoria collettivo dei provvedimenti legislativi di concreto sostegno economico alle coppie aperte alla vita; se la Giornata vuole essere veramente efficace deve incentivare una sana riflessione sui fattori di matrice culturale della denatalità. La genitorialità e in particolare la maternità hanno avuto un ruolo sempre più marginale nel dibattito pubblico, per questo è fondamentale ridare un rinnovato riconoscimento sociale al loro valore sociale. Senza di esso nessun parlamento si impegnerà mai a varare leggi per la famiglia e la vita.

Significativa è la scelta ricaduta sulla data del 25 marzo, giorno in cui ricorre la solennità dell’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele a Maria che egli era stata scelta ad essere la madre del Signore. Delle quaranta realtà che compongono la Rete per la Giornata della Vita Nascente molte sono di ispirazione cristiane-cattolica; tra le capofila appare la l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII e tra gli altri anche i Medici cattolici, gli Evangelici, il Movimento dei focolari e il Centro Studi Rosario Livatino. La proposta è sostenuta anche dal Family Day e da Pro Vita che rilanciano sul piano della spinta culturale con una grande manifestazione di popolo dal nome “Scegliamo la Vita”, organizzata per sabato 21 maggio a Roma. Un evento che ribadirà che la vita è il primo diritto dai cui discendono tutti gli altri e che metterà l’accento sul valore della natalità. Dopo anni di relativismo culturale che ha reso la famiglia e il progetto genitoriale un fatto meramente privato e privo di valore sociale, ora si torna a guardare con speranza a quella cellula primigenia della vita per dare nuova linfa a tutta la società.