Costi dell’energia e fonti alternative, i nuovi orizzonti causati dalla guerra

L'intervista di Interris.it al segretario confederale della Cisl Angelo Colombini

Nel corso degli ultimi mesi – ed in particolar modo con l’inizio della guerra in Ucraina – il costo dell’energia e dei carburanti ha fatto segnare un notevole rincaro che sta avendo importanti ripercussioni sui costi sia per le famiglie – sulle quali gli aumenti medi andranno ad incidere per oltre 2700 euro annui – che per le imprese in relazione al costo delle bollette ed all’incremento dei costi per la produzione dei beni materiali. Rispetto a ciò, i temi della maggiore autonomia energetica e della diversificazione delle fonti nel nostro paese hanno assunto una valenza molto importante. Interris.it ha intervistato in merito a questo tema il segretario confederale della Cisl Angelo Colombini.

Il segretario confederale della Cisl Angelo Colombini

L’intervista

Nell’ultimo periodo il costo dell’energia ha fatto segnare un forte incremento – soprattutto con l’inizio della guerra in Ucraina – di che portata sono stati questi aumenti?

“Dal secondo trimestre del 2020 il prezzo dell’energia per le famiglie e le imprese italiane è gradualmente aumentato arrivando a toccare circa il 42% in più dei costi sulle bollette. Lo scorso 30 dicembre l’ARERA – ossia l’Autorità Regolatrice per Energia-Reti Idriche ed Ambiente – ha pubblicato la scheda tecnica riassuntiva degli aumenti previsti del costo dell’energia (elettricità e gas naturale) per il trimestre gennaio-marzo 2022. Nonostante gli interventi del Governo di contenimento degli oneri fiscali, l’aumento delle spese energetiche per una famiglia tipo – per famiglia tipo si intende un nucleo con consumi medi di energia elettrica di 2.700 kWh all’anno e una potenza impegnata di 3 kW e per il gas consumi di 1.400 metri cubi annui (Dato ARERA) – rispetto al trimestre precedente varieranno del +55% per l’energia elettrica; del +41,8% per il gas naturale. Tutto ciò rischia di compromettere, o quanto meno di contenere, il rimbalzo positivo in corso dell’economia europea ed in particolare di quella italiana”.

In che maniera questi aumenti hanno influito sull’aumento dell’inflazione?

“L’Istat lo scorso febbraio ha pubblicato una nota secondo cui l’inflazione nel mese di gennaio è aumentata del 4,8% su base annua, valore non registrato da aprile 1996. A dicembre si registrava un aumento del 3,9%; questo dimostra una particolare rapidità nella crescita, derivante proprio dall’incidenza dei costi dell’energia, che, come abbiamo visto precedentemente si impennano proprio nel periodo di aumento della tensione geopolitica, che poi è sfociata nel dramma dell’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina”.

In che modo il costo dell’energia ha inciso sull’incremento dei costi nei processi produttivi dei beni materiali?

“A gennaio i prezzi alla produzione dell’industria aumentano del 9,7% su base mensile e del 32,9% su base annua – sempre dato ISTAT -. Gli aumenti sono trasversali a tutti i settori, da quelli particolarmente energivori (acciaierie, aziende ceramiche, etc..) ai settori dell’agricoltura, del terziario e della logistica. Il peso dei costi dell’energia va a toccare soprattutto il trasporto dei beni materiali, che avevano già subìto un forte condizionamento nel periodo della pandemia”.

Nel recente passato Lei ha scritto che gli aumenti dell’energia hanno fatto emergere gli elementi contraddittori dei precedenti governi su questo tema, a cosa faceva riferimento?

“Alle scelte contraddittorie sul gas naturale, considerato anche dall’UE, il vettore energetico della transizione, perché pur essendo un fossile, produce emissioni di CO2 molto inferiori rispetto a carbone e petrolio. Il Conte 1 non ha potuto fermare l’arrivo del gasdotto TAP dall’Azerbaijan, ma ricordiamo bene le prese di posizione pesantemente contrarie del M5S e del Governo Giallo-Verde e quello successivo Giallo-Rosso, che hanno condizionato anche ulteriori sviluppi dell’utilizzo del gas naturale. Progressiva riduzione della produzione di gas naturale italiano con il blocco della ricerca e delle estrazioni”.

Il movimento sindacale evidenzia da tempo la necessità di rendere l’Italia maggiormente autonoma dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico, è per tale motivo che Lei ha difeso il Gasdotto pugliese Tap?

“Più che il Sindacato, lo ha detto la CISL, perché una parte del mondo sindacale e una certa cultura massimalista ed ideologica lo ha sempre osteggiato. Già dal 2015, quando allora ero segretario generale della FEMCA, categoria che segue anche il settore petrolifero e del gas, prendemmo una posizione molto netta e a difesa del gasdotto. Eravamo i soli a prenderci gli insulti e non solo, sul territorio pugliese e anche durante le riunioni istituzionali. Con i Governi Renzi e Gentiloni riuscimmo a far progredire alcuni programmi, che successivamente, con i governi Conte, hanno subìto delle eccessive penalizzazioni; ricordo, ad esempio, la mancata metanizzazione della Sardegna”.

In questo frangente storico la dipendenza italiana dal gas russo – che copre il 40% del fabbisogno nazionale – è di scottante attualità, però – allo stato attuale – i nostri giacimenti nazionali sono poco utilizzati, perché?

“Purtroppo, sono poco utilizzati. Anche in questo caso subimmo degli attacchi quanto ci opponemmo alla “criminalizzazione” dei giacimenti in Basilicata o nei confronti dello sviluppo dei giacimenti nel Canale di Sicilia o nell’Adriatico. Con l’accordo del 2014 di riassetto e riconversione del sito di Gela, si diede il via alla valorizzazione di due importanti produzioni locali, che ancora scontano ritardi inconcepibili. Il dato è che nel 2000 l’Italia produceva 20 miliardi di metri cubi di gas naturale, oggi non arriviamo a 4 miliardi. Dispiace che per vedere rivalutate le nostre posizioni, c’è stato bisogno dello scoppio di una guerra. Comunque, la recente approvazione del PITESAI, il piano di sviluppo delle aree idonee all’esplorazione e produzione nazionale, dovrebbe garantire una maggiore attenzione al problema. Condividiamo poi le posizioni espresse dal Ministro Cingolani sul raddoppio della produzione di gas in Italia”.

Sono giustificati dalle tensioni internazionali gli aumenti del carburante a cui stiamo assistendo? In che modo può essere ridotto il loro impatto sulle famiglie e sulle imprese?

“Certamente no. La componente speculativa è forte ed il peso dell’IVA e delle accise è ancora eccessivo. I provvedimenti del Governo sono importanti, ma non bastano. Bisogna ridurre ancor di più il peso delle accise e dell’IVA sui carburanti. Inoltre, andrà’ assolutamente rivisto l’intero ciclo dell’approvvigionamento, commercializzazione e distribuzione dei carburanti; troppi passaggi intermedi precedenti al consumo. Lo Stato dovrà poi assumere una funzione di maggior controllo del sistema”.

In questo frangente si è tornati a parlare di carbone e relative centrali, qual è la sua opinione in merito?

“Deve essere utilizzato solo in questa attuale fase emergenziale. Consideriamo il gas naturale l’approdo immediato, nonostante la questione dei costi, che dovremo impegnarci a risolvere. Oggettivamente la lotta al cambiamento e alle crisi climatiche non può non passare per una progressiva decarbonizzazione dell’industria, dei servizi e dell’utilizzo domestico”.

Nucleare Cernobbio

L’energia nucleare è un tema su cui si pone ancora il veto?

“Spero di no, soprattutto quella di nuova generazione. Su questo ci sarà bisogno di maggiori certezze da parte della scienza. Noi comunque abbiamo avuto più di un referendum contro il nucleare che ha condizionato e indirizzato le scelte della politica che dobbiamo rispettare. Però il governo dovrebbe investire subito sul nucleare per fusione perché serviranno più di 15 anni prima di avere una risposta positiva da questa tecnologia ad emissione vicine allo zero”.