Ieri ed oggi, tra piano Marshall ed il Recovery Plan

Effetti a lungo termine del Recovery: resteremo europei per almeno altri vent’anni. I sovranisti se ne facciano una ragione: le promesse con Bruxelles sono state rinnovate e se prima l’unione era dettata dall’amore, adesso l’Italia è legata anche da un accordo che non prevede separazioni, pena pagamento di alimenti pesantissimi vita natural durante. Draghi incassa il sì di un Parlamento che non poteva permettersi altro. Lo hanno, questo Parlamento, anche un po’ umiliato e la cosa potrebbe scatenare conseguenze spiacevoli.

In politica mai dare alla controparte l’impressione di averla sgominata: prima o poi si vendica. L’esecutivo, per dirla con Catullo, sarà ancora amato ma gli si vorrà meno bene. Lesbia, ricordati che non sei l’unica donna al mondo, e che di poesia nella politica ce n’è davvero poca.

È giusto e inevitabile dire che non bisogna perdere l’occasione. Dai tempi del Piano Marshall non si vedeva una cascata di quattrini così poderosa. La portata amazzonica dei contributi (quasi 250 miliardi) è tale che ci possiamo ricostruire la casa, comprarci la macchina e il frigo e mandare i nostri figli all’università. Sempre che ci dimostriamo saggi, e non a caso Draghi cita la necessità di una classe dirigente che abbia il carattere adeguato. Lo diceva De Gasperi e la cosa ci induce aduna riflessione. Premessa: non sarà una riflessione piacevole.

Quando l’Italia venne chiamata a gestire gli aiuti dell’European Recovery Program (quello di Marshall: attenti alla facile confusione) la classe dirigente era adeguata – siamo buoni – un po’ più dell’attuale. Ma soprattutto aveva a sostenerla due elementi portanti. I partiti, innanzitutto: erano culturalmente ferrati, sostenitori di modelli sociali ed economici, coscienti del grande retaggio storico del Paese.

Oggi invece paghiamo l’averli trasformati in cordate di sostegno al cacicco di turno: masse informi senza testa e senza pensiero, dove si è cooptati unicamente sulla base del gradimento del capo. Succede da quando sono tramontati i partiti tradizionali. Da allora niente si è mostrato a invertire la tendenza.

Il secondo elemento è De Gasperi stesso. Ci dispiace, ma dobbiamo essere chiari. La fase della spesa dei fondi di Marshall venne gestita al meglio perché la guida del Paese era una guida politica, non tecnica. Guardate al discorso di Draghi alle Camere: un lungo ed esauriente elenco di progetti. Tutti condivisibili, ma senza che dietro ne emergesse un’idea d’Italia.

Insomma: bello e senz’anima. La riprova è che, per dirne una, i nodi politici che il governo dovrà affrontare, dalla giustizia al regime fiscale, sono lasciati ai margini. E poi, diciamocelo chiaramente: niente che lasci pensare ad una vera promozione del ceto medio e della famiglia. L’assegno unico sarà una buona cosa, ma è solo l’inizio. C’è molto di più da fare, sennò vuol dire che siamo ancora e di nuovo al contentino.

De Gasperi, in aggiunta, non avrebbe permesso a Salvini di far quel che ha fatto con l’astensione della Lega sulle riaperture. Avrebbe tenuto il punto, e poi semmai gli avrebbe fatto fare la fine del Pci nel ’47. Draghi non ha avuto uguale tempra, e Salvini ha ripreso immediatamente il tira-e-molla. E Forza Italia ha dato segni di seguirlo. Insomma, il centrodestra è più destra che centro e converge sulle posizioni di Fratelli d’Italia. Il sovranismo ha ancora qualche carta da giocare.

Insomma: un governo troppo sostenuto per essere amato, un Parlamento privato della sua centralità, un sistema di partiti in salute come la Signora delle Camelie. No, ancora non ci siamo: la crisi è ancora di là dall’essere risolta.