Elezioni in Siria: le fosche previsioni per il futuro

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Il prossimo 26 maggio il popolo siriano sarà chiamato alle urne. L’Alta Corte Siriana ha ammesso alla tornata elettorale due candidati che potranno sfidare l’attuale presidente Bashar al-Assad, anche se la lista ufficiale verrà pubblicata soltanto il 10 maggio. I candidati in corsa sono Abdallah Solloum Abdallah, ex ministro e deputato, e Mahmoud Ahmed Marei, unico candidato dell’opposizione.

Quelle siriane, sono state definite anche elezioni farsa. Sicuramente è un’elezione truccata. Basti pensare che, in base alla normativa vigente in Siria, possono candidarsi solo le persone che hanno vissuto in Siria per i precedenti dieci anni e che hanno avuto l’appoggio di almeno 35 membri tra i 250 del Parlamento che compongono il parlamento siriano che, da cinquant’anni è dominato dalla famiglia di Assad.

Quello che però deve essere messo in luce è che nessuno di questi candidati ha la benché minima possibilità di vincere e che nessuno di loro rappresenta la vera bandiera dell’opposizione. Solo uno di loro, Marei, viene considerato opportunisticamente come opposizione, ma non lo è. Basti pensare che cinque ministri degli esteri – quelli di Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e Stati Uniti – hanno chiesto di boicottare queste elezioni che vengono definite farsa, una “trista farsa”.

Inoltre, la popolazione curda che ha ancora qualche brandello di controllo dell’area orientale del Paese, intende boicottare le elezioni perché non solo non le ritiene rappresentative, ma perché nulla di ciò che era previsto per garantire un barlume di democrazia nel Paese è stato osservato e i colloqui con il governo non sono riusciti a definire la modalità dell’autonomia che i curdi chiedono al governo siriano. E’ un’elezione che con tutta probabilità perpetuerà il potere della famiglia Assad con previsioni fosche per il futuro del Paese che soffre di una situazione insostenibile economicamente, socialmente e culturalmente per la dilagante povertà, gente che è dovuta scappare dal proprio paese o dalla Siria stessa, parliamo di milioni di persone, in larga misura negli Stati confinanti, ma anche in Turchia o in Europa. Un Paese distrutto che adesso deve affrontare un recupero di democrazia – prospettiva sempre più lontana – e la ricostruzione di uno Stato sempre più massacrato da così tanti anni di guerre.

Questo povero Paese è conciato proprio male, si parla di “balcanizzazione” della Siria non a caso. Fino a quando Bashar al-Assad terrà in mano il potere questo Paese, che già non è più un Paese – dominato in parte da lui, dai turchi, dagli iraniani, un pezzetto ricco di petrolio in mano agli americani -: dire che questa è la Siria, ci vuole del coraggio.