L’efficacia dell’immunità ibrida contro il Covid-19

L’Istituto superiore di sanità certifica l’efficacia dell’immunità ibrida contro Covid-19. Un rapporto dell’Iss ribadisce come la protezione maggiore nei confronti della malattia grave si abbia nei vaccinati e nelle persone che hanno contratto la malattia, con la cosiddetta super-immunità. L’infezione, soprattutto recente, protegge in parte dalla malattia. “Tra le persone non vaccinate quelle senza una pregressa infezione hanno un rischio di infezione da SARS-CoV-2 all’incirca sei volte più alto rispetto a chi ha avuto una diagnosi pregressa da almeno 180 giorni, e di venti volte maggiore rispetto a chi ha avuto una diagnosi pregressa fra 90-180 giorni”.

Questi i dati invece che considerano vaccinazione e malattia: “Tra le persone vaccinate che hanno ricevuto l’ultima dose da almeno 180 giorni, quelle che non hanno avuto una diagnosi pregressa, hanno un rischio di infezione di circa diciassette volte maggiore rispetto a chi ha avuto una diagnosi pregressa fra 90-180 giorni e di tre volte maggiore rispetto a chi abbia avuto una diagnosi pregressa da almeno 180 giorni. Mentre tra i vaccinati da meno di 180 giorni, chi non ha mai avuto una pregressa diagnosi risulta avere un rischio di infezione circa dodici volte più alto rispetto ai soggetti con diagnosi tra 90 e 180 giorni e due volte più alto rispetto a quelli con diagnosi da almeno 180 giorni”. Senza perdersi tra conteggi, il risultato, se si guarda alle infezioni è questo: “Indipendentemente dalla fascia di età e dai giorni intercorsi dall’ultima dose di vaccino, aver ricevuto almeno una dose di vaccino e una diagnosi di infezione fra i 90 e 180 giorni precedenti riduce di due volte il rischio di infezione rispetto al non essersi mai vaccinati e aver avuto una diagnosi di infezione fra i 90 e 180 giorni precedenti”.

Uno studio italiano ha valutato l’attività neutralizzante di 482 anticorpi monoclonali umani ottenuti da persone che avevano ricevuto due o tre dosi di vaccino a mRNA o da persone vaccinate dopo l’infezione (Emanuele Andreano e altri). Le varianti di Omicron BA.4 e BA.5 sono risultate essere neutralizzate solo da circa il 15% degli anticorpi prodotti. Si sono inoltre identificati i bersagli degli anticorpi ottenuti dopo 3 dosi di vaccino che sono risultati diversi rispetto a quelli acquisiti dopo l’infezione. Per questo motivo, sembra che la vaccinazione e l’immunità ibrida utilizzino diversi linfociti B per rispondere alle varianti Omicron BA.4 e BA.5. L’insieme di anticorpi generati da vaccinazione anti-Covid e guarigione dall’infezione, anche conosciuta come immunità ibrida, offre una maggiore protezione contro le forme gravi di Covid-19. A mostrarlo sono i risultati di una review sistematica di 26 studi, pubblicata su The Lancet Infectious Diseases, frutto di una collaborazione tra Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Unity Studies e SeroTracker. Ci sarebbe, dunque, “un vantaggio nel sottoporsi a vaccinazione anche dopo avere contratto il Covid”, sottolinea l’OMS alla luce dei dati raccolti dallo studio.

In particolare, la revisione mostra che “la protezione contro malattie gravi e ricovero resta elevata 12 mesi dopo aver sviluppato immunità, rispetto all’essere non vaccinati e non contagiati”. La probabilità di contrarre Covid-19 in forma grave o di aver bisogno di un ricovero in ospedale, un anno dopo aver sviluppato immunità ibrida, “è di almeno il 95% più bassa, mentre nelle persone infettate un anno prima, ma non vaccinate, il rischio è del 75% inferiore”, sottolinea l’Organizzazione, evidenziando che “la protezione contro la reinfezione è risultata minore rispetto a quella contro le malattie gravi, con le persone con immunità ibrida che hanno una probabilità del 42% inferiore di essere reinfettate dal coronavirus un anno dopo, mentre quelle solo infettate hanno un rischio del 25% più basso”.