Default russo: quali conseguenze potrebbe avere

Era stato annunciato più volte, nei mesi passati, e, alla fine, il default del debito russo è arrivato. La sera del 27 giugno scorso, scadenza del cosiddetto “periodo di grazia”, i detentori dei titoli di debito della Federazione Russa non hanno ricevuto il pagamento delle cedole relative a due Eurobond in valuta, dollari americani e euro, per un controvalore di complessivi 100 milioni di dollari, fatto che, secondo definizione, fa scattare lo stato di default.

Questi sono i toni del comunicato dell’agenzia di Rating Moody’s che decretava lo stato di “fallimento tecnico” del paese che sarebbe il terzo nella storia, dopo quello del 1917, quando Lenin ripudiò il debito zarista, e lo stato di insolvenza del debito interno del 1998, per via della crisi valutaria del rublo.

C’è una differenza fondamentale con questi casi precedenti, però, si parla, infatti, di “fallimento tecnico” quando, forse, sarebbe più corretto parlare di “fallimento indotto”. Chiariamo il concetto. Il mancato pagamento non proviene da una mancanza di liquidità del Tesoro russo poiché solo dagli stati europei Mosca incassa oltre un miliardo di euro al giorno per la fornitura di petrolio e gas, l’obbligo del pagamento delle forniture in rubli, poi, permette alla Banca Centrale di accumulare ingenti riserve di valuta estera che avrebbero permesso di onorare gli impegni finanziari senza problemi; il ministro delle finanze Anton Siluanov, poi, ha confermato di aver effettuato regolarmente i pagamenti tramite il National Settlement Depository, che altro non sarebbe che l’equivalente del nostro Monte Titoli che funge da deposito titoli accentrato e camera di compensazione, adempiendo, così, agli obblighi.

La mancata ricezione delle somme deriverebbe, quindi, solo dal blocco operativo sul sistema dei pagamenti imposto dalle sanzioni internazionali, scattate in reazione all’invasione dell’Ucraina, verso il quale, credibilmente, la Russia ricorrerà in tribunale per far dichiarare la nullità del default.

La domanda che sorge spontanea, a questo punto, è “ma quali conseguenze potrebbe avere questo default?”. Diciamo che, al momento, gli unici danneggiati sarebbero i detentori dei bond russi, poiché la mancata ricezione del pagamento delle cedole ha riguardato solo loro.

“Fortunatamente”, però, questi titoli non sono mai stati direttamente nel portafoglio dei risparmiatori retail; i rating paese della Russia oscillano sul limite del livello speculativo (i cosiddetti junk bond) sin dal 2015, nonostante il livello di indebitamento molto basso, per una questione di inaffidabilità istituzionale conseguente alla crisi crimeana e, di conseguenza, le obbligazioni, almeno in Europa a seguito degli obblighi imposti dalla MIFID, erano riservati solo a investitori istituzionali o qualificati, come banche, assicurazioni e fondi di investimento.

Anche se, per un privato che non si chiami Warren Buffett, la cifra di 100 milioni di dollari possa sembrare assai rilevante a livello finanziario questa potrebbe benissimo essere considerata un importo marginale e che, quindi, non dovrebbe impattare in maniera rilevante, a livello patrimoniale, per questo tipo di investitori e, quindi, a cascata su quei risparmiatori che abbiano acquistato prodotti finanziari con (anche) queste obbligazioni nel sottostante come, ad esempio, un fondo Emerging Markets High Yield Bond.

Dal lato russo, invece, non ci sarà alcun contraccolpo, nel breve periodo, perché, come già ricordato, alla Russia sono già da tempo preclusi i canali di finanziamento internazionali, per effetto delle sanzioni applicatele, e non è prevista alcuna emissione di obbligazioni per investitori internazionali potendo contare sugli extra-profitti dovuti dal rialzo del prezzo degli idrocarburi e, d’altro canto, sempre per via dei profitti delle aziende di stato o da quest’ultimo controllate, come Gazprom, il ricorso al finanziamento del fabbisogno dello stato tramite emissione di titoli di debito era estremamente limitato (il rapporto debito/PIL pre-bellico era, infatti, ampiamente sotto la soglia del 20%).

Gli effetti più rilevanti, però, si potrebbero vedere già nel medio periodo andando a impattare sul settore privato, persone fisiche e aziende, sia sulla sostenibilità del debito pregresso sia sui nuovi prestiti compromettendo le dinamiche di crescita. Il nodo vero è qui, infatti!

Come indicato anche da El’vira Nabiullina, governatore della Banca Centrale della Federazione Russa, sia il livello attuale di inflazione, intorno al 17%, sia la caduta tendenziale del PIL, stimata intorno al -10% a fine anno, se uniti al default, per quanto formale, potrebbero compromettere la ripresa post bellica, non per il rifinanziamento dello stato, come già accennato prima ma dal lato degli investimenti di privati e aziende a cui sarebbe molto più difficile l’accesso al credito.

L’economia russa, fino ad oggi, è stata basata principalmente sull’export di idrocarburi che, considerando tutta la filiera, rappresentava più o meno il 60% del PIL; la grande redditività del settore estrattiva e del suo indotto, negli ultimi 30 anni, ha portato a un forte arretramento in tutti gli altri settori produttivi, agricolo e industriale (con l’eccezione del comparto militare) spingendo una forte dipendenza dalle importazioni estere, principalmente da Europa e Cina, di semilavorato e di tecnologia, settore quest’ultimo che è, ormai, inesistente in Russia.

L’allarme lanciato dalla Banca Centrale e da Rosstat (l’istituto federale di statistica) è relativo al probabile ritorno a una situazione economica simile a quella degli anni 60 del ‘900 nell’arco di un quinquennio se non si pongano in essere dei forti investimenti mirati alla riconversione industriale e allo sviluppo tecnologico, cosa che un eventuale partnership con la Cina non permetterebbe salvo diventare, di fatto, una colonia di Pechino.

Per un piano simile, però, occorreranno soldi, tanti, credibilmente molti di più di quanto sia oggi disponibile e di quanto sia sostenibile solo con l’esportazione di materie prime, considerato il breve orizzonte temporale disponibile per portare a termine l’operazione.

Per questo la credibilità e l’affidabilità delle istituzioni diventa cruciale per far giungere investimenti sul territorio; al di là del default, che tutti (o quasi) capiscono che non sia reale ma indotto, è proprio di queste due caratteristiche che difetta la Russia di oggi e riportarle a un livello accettabile per ogni possibile partner estero, almeno a livello pre-2014 con l’invasione della Crimea, non sarà semplice